I sette Concetti Base della Meccanica Quantistica
Come abbiamo visto in “Cos’è la Meccanica Quantistica?” e ribadito in “I cinque Postulati della Meccanica Quantistica”, questi cinque postulati gettano le loro fondamenta nei sette concetti base della meccanica quantistica. Queste idee sono ovviamente relegate al mondo atomico, siccome la meccanica quantistica deve il suo successo alla sua coerenza nel descrivere il comportamento della materia e della radiazione alle scale di lunghezza atomiche. I sette concetti base che tratteremo sono:
- La quantizzazione dell’energia
- Il dualismo onda-particella
- Il principio di complementarità
- Il concetto di misura
- Il principio di indeterminazione di Heisenberg
- Il limite classico della meccanica quantistica
- Il principio di esclusione di Pauli
La quantizzazione dell’energia
Come visto in maniera introduttiva nel primo articolo citato, per quantizzazione si intende una discretizzazione della materia e del campo elettromagnetico ed è permessa grazie all’introduzione del fotone, che è il quanto del campo elettromagnetico. Il concetto stesso di quantizzazione dell’energia è stato introdotto da Max Planck per giustificare il profilo dello spettro di corpo nero.
Un corpo nero è semplicemente un oggetto che assorbe tutta la radiazione incidente, ovvero se gli spari delle onde elettromagnetiche contro, questo le assorbe senza rifletterle o rifrangerle. Tali corpi, una volta assorbita della radiazione, la riemettono con una frequenza diversa.
Sappiamo che un’onda elettromagnetica è caratterizzata da una frequenza , ovvero da una lunghezza d’onda , quindi non è strano pensare che un corpo nero emetta onde elettromagnetiche di frequenza diversa in maniera diversa. In altre parole, ci sono vari tipi di onde elettromagnetiche che possono essere più o meno intense (raggi , raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarossi, onde radio) e un corpo nero emetterà tali onde con un’efficienza che varia a seconda dell’onda.
Ad esempio prendiamo il Sole ed un beato studente sdraiato su di un lettino. I raggi che provengono dal sole hanno una banda di frequenza che va dai 430 ai 770 THz, banda di frequenze a cui il nostro occhio è sensibile. In altre parole, se fissiamo il Sole lo vediamo bene e ci cechiamo pure. Assumendo che il corpo dello studente sia un corpo nero (inteso nel senso fisico…), allora assorbirà tutta la radiazione che proviene dal Sole. Questa radiazione che ha assorbito non la riemetterà alla stessa frequenza, ma a frequenze diverse! Infatti in spiaggia non vediamo studenti che brillanti… Magari brillanti nello studio, ma non nell’intero spettro visibile della luce! Infatti il nostro corpo riemetterà della radiazione in qualche banda del visibile, ma l’emissione principale è nell’infrarosso e noi questo non lo vediamo!
Questo breve excursus era giusto per far capire intuitivamente come un corpo nero assorba e riemetta radiazione e come l’intensità con cui la riemette vari al variare della lunghezza d’onda . Quindi la figura mostrata sopra sta a mostrare come un corpo nero emetta radiazione alle diverse lunghezze d’onda. Ma cosa centra tutto questo con la meccanica quantistica?
Nel 1900, Max Planck, mostrò come la radiazione elettromagnetica fosse assorbita ed emessa dagli atomi in maniera discreta, ovvero che gli atomi riescono assorbire od emettere solo delle quantità ben definite di energia, dette quanti. Questa ipotesi ha permesso di superare il grande scolio nella descrizione dei corpi neri che, fino a quel momento, non era possibile spiegare con esattezza, basti pensare all’assurdo della “catastrofe ultravioletta”.
Il dualismo onda-particella
Sempre nel XIX secolo era viva un’altra grande diatriba che vedeva contrapposte le leggi di Newton a quelle di Maxwell, cioè la visione particellare e quella ondulatoria della realtà fisica. Basti pensare all’esperimento di Young che implicava e dimostrava come la luce dovesse necessariamente essere intesa come un’onda.
In seguito sorsero delle incoerenze sia teoriche che sperimentali concernenti l’ipotesi per cui la luce avesse una natura puramente ondulatoria. Ciò permise ad Einstein di reintrodurre una parte della concezione corpuscolare della luce tramite i fotoni che, come mostrato nell’effetto fotoelettrico, trasportano quantità discrete dell’energia totale dell’onda elettromagnetica.
Fu De Broglie a capire per primo come la luce fosse sia un’onda che una particella, ovvero come le sue due nature non si escludessero a vicenda, ma convivessero. Siccome questo dualismo onda-particella vale per ogni corpo materiale, allora è vero anche mondo macroscopico. Non riusciamo però a vedere questo fenomeno, perché è apprezzabile solo per dei corpi di bassissima massa, come quelli del mondo atomico e subatomico.
Ora possiamo finalmente comprendere il video riportato dell’esperimento di Young, anche conosciuto come l’esperimento della doppia fenditura. In esso viene solo mostrata la natura ondulatoria della luce, infatti si vede come la luce di una sorgente che passa attraverso due fenditure, generi due nuove sorgenti. Queste interferiranno tra di loro, creando la figura di interferenza registrata sullo schermo, da cui si vede come si abbiano interferenze costruttive e distruttive.
Però per analizzare il dualismo onda-particella a noi interessa il successore dell’esperimento di Young, ovvero la doppia fenditura quantistica. In questo esperimento si ha un apparato sperimentale molto simile a quello mostrato sopra: una sorgente, una lastra con due fori (fenditure) e uno schermo rivelatore.
La grande differenza sta nel fatto che la sorgente usata è un fascio di elettroni che vengono “sparati” uno alla volta verso la lastra fotografica (schermo). Questo ci permette di verificare sia la natura particellare che quella ondulatoria dei sistemi quantistici. Infatti, quando inviamo solo il primo elettrone, possiamo facilmente vedere come sullo schermo compaia un solo puntino dove ha impattato la particella. Inviando poi il secondo elettrone osserveremmo lo stesso fenomeno, quindi saremmo portati a dire che vi sia solo una natura particellare. Solo aumentiamo di molto il numero di elettroni inviati, i fenomeni di interferenza ondulatoria cominciano a diventare importanti e sullo schermo si potranno apprezzare le bellissime figure di interferenza che provano il dualismo onda-particella.
L’interpretazione maggiormente condivisa del fenomeno è composta dall’insieme di due modalità di comportamento diverse:
- Propagazione ondulatoria nello spazio tra la sorgente, la doppia fenditura e lo schermo;
- Rilevazione puntiforme dell’impatto della particella sullo schermo.
Questo comportamento duale dei sistemi quantistici, permesso dal principio di complementarità, non è dissimile nei modi al collasso della funzione d’onda di cui parlammo in “I cinque Postulati della Meccanica Quantistica”.
Il principio di complementarità
Tale principio, sviluppato nel 1927 da Bohr, afferma che il duplice aspetto di alcune rappresentazioni fisiche dei fenomeni a livello atomico e subatomico non può essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento.
Tornando al dualismo onda-particella, abbiamo che non potremo osservare entrambe le nature simultaneamente. Infatti, quando osserviamo uno dei due aspetti duali di un processo quantistico, tale osservazione preclude quella dell’altro. Ad esempio, se tramite un processo sperimentale osserviamo la natura particellare di un elettrone, non sarà possibile osservare in contemporanea quello ondulatorio.
La complementarità è espressa matematicamente tramite gli operatori che rappresentano le osservabili misurate e il loro commutatore:
\left[ \hat{A}, \hat{B} \right] \coloneqq \hat{A}\hat{B} - \hat{B}\hat{A}
Se e commutano, allora , altrimenti . Delle osservabili corrispondenti a degli operatori che non commutano tra di loro, sono quindi delle osservabili incompatibili e non possono avere un insieme completo di autostati comuni, quindi non le posso misurare assieme. Un esempio di osservabili incompatibili sono posizione e quantità di moto (proporzionale alla velocità).
Il concetto di misura
In meccanica quantistica, per misurare un’osservabile, è necessario operare un processo irreversibile che modifica lo stato del sistema. Non si ha più la possibilità di avere un osservatore passivo esterno che può conoscere ogni dettaglio di un sistema senza però alterarlo, come accade in meccanica classica. In quantistica è impossibile conoscere lo stato di una particella senza perturbarlo, quindi non ha senso assegnare dei valori a delle proprietà del sistema senza considerare l’operazione e l’alterazione dovuta alla misura da parte di un osservatore.
Questa peculiarità della misura dei sistemi quantistici, introduce il cosiddetto problema della misura, ovvero il problema di se e come si verifica il collasso della funzione d’onda. Infatti un sistema quantistico è descritto da una funzione d’onda, ovvero da un qualcosa che evolve in maniera deterministica seguendo l’equazione di Schrödinger tramite una sovrapposizione lineare di diversi stati. Però, quando operiamo una misura di tale sistema, lo troviamo sempre in uno stato ben definito. Quindi le possibili previsioni sull’evoluzione futura della funzione d’onda , si devono basare sullo stato della misura effettuata, cioè in quello in cui troviamo il sistema una volta misurato.
Ci sono varie interpretazioni del fenomeno, dall’affermata interpretazione di Copenaghen alle più recenti: a molti mondi, di Bohm e di Ghirardi-Rimini-Weber. Continuando a seguire quella di Copenaghen, come nei precedenti articoli, essa postula che qualcosa provochi il collasso della funzione d’onda nell’atto della misura. Avendo già descritto questo quarto postulato in “I cinque Postulati della Meccanica Quantistica” non ci soffermeremo oltre, se non per dire che la visione di Copenaghen sul perché la funzione d’onda collassi è ancora oggetto di dibattito, non volendosi gettare in un crogiolo di varie interpretazioni epistemiche. Questa attitudine è spesso riassunta nel mantra “zitto e calcola!”.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg
Come già accennato, un problema nella misura è che spesso gli operatori che rappresentano le osservabili di interesse non commutano, ovvero non possiamo misurarle assieme. Ad esempio prendendo il commutatore tra gli operatori di posizione () e quantità di moto () della particella avremo che:
\left[ \hat{x}, \hat{p} \right] \coloneqq \hat{x}\hat{p} - \hat{p}\hat{x} \neq \hat{0}
Essendo il loro commutatore non nullo, non possiamo avere un insieme completo di autostati comuni da utilizzare. In altre parole non posso conoscere contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella, o meglio, non le posso misurare assieme con una precisione arbitraria. Questi due non sono l’unica coppia di operatori non commutanti rappresentanti delle osservabili, ma sono quella di maggiore interesse.
Nel 1927 Heisenberg elaborò il principio di indeterminazione, secondo il quale tanto migliore è la precisione della misura di una delle due grandezze, tanto peggiore è la precisione nella misura dell’altra. In altri termini, la misura della posizione provoca delle perturbazioni imprevedibili della quantità di moto, ovvero:
\left( \Delta x \right) \left( \Delta p \right) \geq \frac{h}{4 \pi}
In cui e sono rispettivamente le incertezze sulle misure di posizione e quantità di moto. Quindi, abbassando arbitrariamente l’incertezza sulla misura di una delle due, l’altra aumenterà e non potremo mai avere un prodotto delle due che sia minore di questo limite inferiore imposto dal principio di indeterminazione di Heisenberg.
Come esempio riproponiamo lo stesso che Heisenberg presentò nell’articolo del 1927, ovvero l’esperimento mentale del microscopio. Prendiamo un fotone energetico di lunghezza d’onda ed un elettrone inizialmente fermo. Il fotone (rosso) urta l’elettrone (blu) che viene deviato e, per effetto Compton, si avrà un fotone scatterato di lunghezza d’onda che supponiamo entrare nel microscopio di destra.
La lente del microscopio può far entrare solo fotoni con un angolo massimo pari a rispetto all’asse tratteggiato, quindi la risoluzione ottica con cui lo strumento vede l’elettrone sarà:
\Delta x \gtrsim \frac{\lambda'}{2 \sin{\theta}}
L’unica informazione che abbiamo sull’angolo di ingresso del fotone è che questo deve essere compreso tra e , quindi ho una indeterminazione sulla quantità di moto unidimensionale del fotone. Usando la relazione di de Broglie (), ho che tale indeterminazione sarà:
\Delta p \gtrsim 2 p' \sin{\theta} = \frac{h}{\lambda'} 2 \sin{\theta}
Abbiamo così ottenuto due equazioni, una per l’indeterminazione sulla posizione e l’altra per quella sulla quantità di moto. Ora, grazie alla conservazione della quantità di moto, posso dire che l’indeterminazione sulla quantità di moto del fotone appena ricavata è esattamente uguale a quella dell’elettrone. Quindi possiamo scrivere la relazione di indeterminazione per l’elettrone:
\left( \Delta x \right) \left( \Delta p \right) \gtrsim \left( \frac{\lambda'}{2 \sin{\theta}} \right) \left( \frac{h}{\lambda'} 2 \sin{\theta} \right) = h
Che venne presto riformulata dopo l’articolo del 1927, tramite l’introduzione della costante di Planck ridotta , come segue:
\left( \Delta x \right) \left( \Delta p \right) \geq \frac{\hbar}{2} = \frac{h}{4 \pi}
Il limite classico della meccanica quantistica
Il principio di indeterminazione di Heisenberg è valido nel limite atomico della realtà, ovvero nel campo della meccanica quantistica. Abbiamo visto come l’introduzione della quantistica è resa necessaria dal fatto che le descrizioni classiche della fisica tramite le leggi di Newton (meccanica classica) e di Maxwell (elettromagnetismo) non valgono nel mondo atomico e subatomico. Quindi, una volta formalizzata la teoria quantistica, ci viene naturale chiederci come si comporti la meccanica quantistica nel limite classico, ovvero quello del mondo macroscopico.
Per capire quale sia il limite sotto il quale si possano ricondurre le leggi quantistiche a quelle classiche bisogna mettersi nella stessa ottica del limite newtoniano della relatività ristretta. Infatti, in tale teoria, si hanno grandi discrepanze dal caso classico quando le velocità dei corpi in gioco sono prossimi alla velocità della luce, mentre ci si riconduce alle leggi di Newton per basse velocità.
Si può dimostrare come la costante di Planck ridotta abbia, nella meccanica quantistica, lo stesso ruolo che ha la velocità della luce nella relatività ristretta. Ad esempio, considerando il principio di indeterminazione di Heisenberg prima introdotto, possiamo vedere come tale indeterminazione sia nulla per tendente a zero.
\left( \Delta x \right) \left( \Delta p \right) \geq \lim_{\hbar \to 0} \frac{\hbar}{2} = 0
In maniera più formale bisognerebbe considerare il propagatore di Feynman che, nella teoria quantistica dei campi, aiuta a descrivere l’evoluzione dei campi nel tempo, in presenza di sorgenti che permangono per un tempo limitato. In particolare si vede come, fra tutti i possibili cammini che contribuiscono al propagatore di Feynman, sopravvivono solamente le soluzioni classiche del moto. Infatti, i contributi delle altre traiettorie si elidono a vicenda e diventano sempre meno rilevanti.
Comunque… Questo limite classico della meccanica quantistica non si sa ancora quanto sia accurato. Nonostante sia vero come alcuni aspetti quantistici, sotto tale limite, si riconducono ai concetti classici, ve ne sono molti ancora irrisolti. Basti pensare allo stato di un oggetto macroscopico che, nell’interpretazione di Copenaghen, resterebbe sempre non determinato finché non venga osservato e, questa indeterminazione, non dipenderebbe dalle dimensioni dell’oggetto.
Quest’ultimo esempio è l’origine di numerosi quesiti che non sono distanti dai dibattiti filosofici sul rapporto tra realtà e osservatore, anzi…
Il principio di esclusione di Pauli
Un altro principio caratterizzante il mondo quantistico è il principio di esclusione di Pauli, tale principio afferma che due fermioni identici non possono occupare simultaneamente lo stesso stato quantico. Tale principio vale solo per i fermioni e non per i bosoni.
I fermioni sono un tipo di particella che ha spin semi-intero, alcuni esempi sono i protoni, i neutroni e gli elettroni. Di fatto i fermioni sono quelle particelle che compongono la materia ordinaria, quindi il principio di Pauli è alla base della comprensione di molte delle caratteristiche distintive della materia stessa!
Al contrario dei bosoni, i fermioni formano degli stati quantici antisimmetrici che, nel caso di due particelle, si traduce in un cambio di segno per inversione delle particelle:
\ket{\psi \psi'} = - \ket{\psi' \psi}
Se ora provo a contraddire il principio di esclusione, ovvero provo a mettere entrambi i fermioni nello stesso stato quantico , ottengo lo stato “zero ket” che non può esistere:
\ket{\psi \psi} = - \ket{\psi \psi} = 0
Questo principio ha cambiato il mondo in cui viviamo, infatti è grazie ad esso che possiamo comprendere la struttura a strati degli atomi e il come scambiano elettroni tra di loro. Prendiamo come esempio un atomo di elio, quindi avremo due elettroni legati. Entrambi possono occupare lo stato di energia più basso, detto 1s, ponendovici con spin opposti. Questo è permesso siccome quando delle particelle hanno la stessa energia ma spin diverso, allora sono in stati quantici differenti. La descrizione degli atomi successivi diviene via via più complicata, ma è comunque possibile grazie al formalismo delle funzioni d’onda e, più in generale, di quello quantistico.
Questi nuovi metodi di descrivere il mondo atomico e subatomico non permettono solamente di prevedere con un’estrema precisione come si comporta la materia, ma hanno delle enormi ripercussioni sulla nostra vita di tutti i giorni. Basti pensare ai diodi o ai transistor, senza i quali non potremmo avere quasi la totalità dell’elettronica che utilizziamo: dalle CPU (quindi computer, smartphone, etc.) ai semiconduttori (ovvero diodi, pannelli fotovoltaici, etc.).