I Principia Mathematica di Newton
Viviamo in un tempo in cui le nuove scienze sono divenute il motore stesso dello sviluppo umano, ma spesso ne ignoriamo la provenienza. Come si può prendere per dogmatismo ciò che ci viene esposto dalla comunità scientifica senza esserne incuriositi e indagarlo noi stessi? Come possiamo usare dei metodi di indagine, come quello scientifico, di cui non conosciamo neppure i princìpi?
Regole del filosofare
Per cercare delle risposte a queste domande dobbiamo analizzare la formalizzazione stessa del metodo scientifico, la quale nacque in seno alla filosofia naturale, cioè alla fisica. Le proposte che ebbero maggior successo furono quelle presentate da Galilei, Descartes e Newton. Volendo analizzare il pensiero di quest’ultimo consideriamo la sua pubblicazione più importante in tal senso, ovvero i “Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica“, in cui vengono esposte le quattro “regole del filosofare“. Queste sono delle normative basate sul metodo scientifico che Newton presenta come strumenti concettuali di indagine.
Questa prima regola non è altro che la riaffermazione di uno storico principio filosofico: il famoso rasoio di Occam. Questo principio suggerisce di scegliere la soluzione o l’ipotesi più semplice per un dato problema.
Sempre sotto il principio del rasoio di Occam, si deve supporre che se osserviamo due fenomeni uguali, non c’è motivo di supporre a priori che le cause alla loro origine siano diverse.
Per Newton tali qualità appartenenti a tutti i corpi erano: l’estensione, la durezza, l’impercettibilità, la mobilità e la forza di inerzia. Tra queste qualità vi è una grande assente, infatti Newton non considerava la forza di gravità immutabile come quella di inerzia, siccome la gravità “allontanandosi dalla Terra diminuisce”.
Quest’ultima regola serve come prevenzione, infatti senza di essa si potrebbero eliminare gli argomenti dell’induzione mediante sola ipotesi. Quindi ciò ci garantisce che se una proposizione derivante da un fenomeno fosse contraria ad un’ipotesi imposta a priori, tale proposizione dovrebbe essere considerata vera, mentre l’ipotesi dovrà essere revisionata o rigettata.
Queste sono le regole che Newton ha definito per il metodo scientifico e risulteranno più chiare una volta parafrasato il titolo “regole del filosofare” con il concetto che l’autore volle esprimere, ovvero “regole da osservare e da applicare nella ricerca fisica”. Infatti, nell’accezione più generale, le quattro regole sono strumenti concettuali che il fisico, nel corso del suo lavoro, deve continuamente tenere presenti.
La questione più interessante è che queste regole sono state inserite all’inizio del terzo libro dei Principia e non all’inizio del primo, nonostante siano i criteri secondo cui si deve muovere il metodo sperimentale. Tale scelta è indice del grande acume di Newton, difatti i primi due libri sono presentati come insieme di ipotesi, tesi e dimostrazioni puramente matematiche, mentre il terzo libro studia le osservazioni effettuate tramite esperimenti e le riconduce a quelle preposizioni e teoremi presentati nei primi due libri. Così facendo si ha una separazione tra la trattazione matematica e quella fisica dei fenomeni analizzati, distinzione che non era affatto scontata per quei tempi e che Newton stesso dichiara nella prefazione dell’opera.
Prefazione dei Principia Mathematica
Per la trattazione qui presentata dei Principia Mathematica, si fa riferimento alla traduzione dal latino a cura di Alberto Pala (1965). Nella prefazione dell’opera, Newton espone la sua decisione di restringere la matematica alla sola parte riguardante le applicazioni pratiche. Questo siccome la matematica può essere studiata anche come disciplina autonoma e indipendentemente da eventuali applicazioni.
Ad esempio, per quanto riguarda le traiettorie dei moti e le loro forme, “la geometria non insegna a descrivere queste linee, ma le postula”, mentre è compito della fisica riuscire a descrivere la realtà tramite il formalismo geometrico. Bisogna però fare chiarezza su questo rapporto matematica-fisica. Lo stesso Newton considerava la matematica come lo strumento linguistico che, al tempo, era il più adeguato per trattare i problemi di fisica, ma non la considerò mai come unico strumento logico che potesse essere utilizzato nell’analisi fisica. Quindi se si dovesse stabilire una nuova forma di linguaggio più adatta alla ricerca fisica, si adopererebbe quest’ultima. Infatti la fisica non è legata alla matematica da qualche oscuro patto di sangue, ma quest’ultimo, ad oggi, è ancora il migliore linguaggio a disposizione della fisica stessa.
Nonostante ciò, il supporto della matematica per la fisica che si va a sviluppare da Newton in poi è a dir poco fondamentale, tanto che si andrà definendosi la “fisica-matematica”. Prendendo come esempio la meccanica razionale (“sarà la scienza dei moti che risultano da forze qualsiasi, e delle forze richieste da moti qualsiasi, esattamente esposta e dimostrata”), essa fu introdotta nei Principia Mathematica ed è caratterizzata dall’integrazione per intero della matematica nelle trattazioni fisiche. Poi la meccanica razionale moderna andrà separandosi dalla meccanica newtoniana e diverrà un formalismo ad essa alternativo.
Nella prefazione, inoltre, l’autore indica i campi della fisica che vuole formalizzare, ovvero: la gravità, la meccanica razionale e la meccanica dei fluidi. Per ognuno di questi campi seguiranno molte applicazioni a casi concreti di analisi, come i moti dei pianeti, delle comete, della luna e del mare.
Dato che i Principia Mathematica non sono una semplice analisi dei fenomeni naturali, ma contengono anche una nuova formalizzazione del metodo scientifico, allora Newton rivolge le sue speranze anche a noi lettori. Fiducioso del metodo introdotto più che delle argomentazioni esposte, ci chiede di non fermarci a criticare ciò che non ci è chiaro, ma di indagarlo.
Introduzione
Prima di cominciare una trattazione matematica o fisica che sia, è necessario definire delle basi chiare e univoche su cui basarsi. A tal scopo Newton introduce otto definizioni da cui partire: massa, quantità di moto, principio di inerzia (“vis insita”), forza agente su un corpo, forza centripeta e qualità delle forze centripete (quantità assoluta, quantità acceleratrice e quantità motrice).
Queste definizioni riguardano solo i corpi e le forze agenti su di essi, quindi vengono aggiunte delle esposizioni argomentative per introdurre le concezioni di tempo, spazio, luogo e moto sia nella loro concezione assoluta che relativa. Per quanto riguarda i luoghi e i moti assoluti Newton afferma che:
Ma questo fatto non è preoccupante da un punto di vista umano, siccome le analisi mediante i sensi sono sempre riferite rispetto a qualche corpo che assumiamo come immobile. Il problema sorge solo quando se ne vuole discutere la filosofia, in quanto occorre astrarsi dai sensi e capire le cause delle cose.
A tal fine Newton definisce le tre leggi (o assiomi) del movimento che sono universalmente conosciute come i princìpi della dinamica. Queste leggi sono tutt’ora il fondamento da cui si sviluppa la meccanica classica.
Libro Primo – il moto dei corpi
Questo primo libro presenta una trattazione puramente matematica della meccanica razionale, introdotta poco prima. Quindi si articola in proposizioni e teoremi riguardanti principalmente le traiettorie dei corpi immersi in differenti potenziali gravitazionali.
Difatti, volendo mostrare quale sia la legge che regola i moti dei corpi del sistema solare, Newton comincia la sua trattazione ricercando varie forze centripete. In particolare, seleziona una forza centrale centripeta inversamente proporzionale al quadrato della distanza e mostra come una forza centripeta di tale natura implichi delle traiettorie coniche (ellissi, parabole e iperboli).
Dato che tale legge dovrà essere applicata alla gravitazione dei pianeti, allora si hanno numerose proposizioni riguardanti i corpi sferici. Tra le più belle abbiamo le proposizioni LXX e LXXI, che quantificano l’attrazione gravitazionale di punti posti rispettivamente all’interno e all’esterno della sfera dotata di massa.
Il frutto principale di questo primo libro è l’analisi delle traiettorie coniche dovute a una forza di gravitazione inversamente proporzionale al quadrato della distanza, ovvero:
F = G \dfrac{m M}{r^2}
Libro secondo – il moto dei corpi
La natura del secondo libro è un po’ particolare, questo è una lunga trattazione sulla meccanica dei fluidi in un mezzo resistente… Perché Newton si è scomodato nel formalizzare i vortici, la viscosità, la tensione e la resistenza dell’aria? Perché gettare le basi per l’idrodinamica e l’idrostatica se si vuol descrivere il moto dei corpi celesti? Beh, è tutta colpa di Cartesio!
L’ipotesi più accreditata al tempo per giustificare il moto dei corpi celesti era la teoria dei vortici cartesiana. Per Cartesio il cosmo consisteva di un infinito sistema di vortici, ognuno dei quali aveva una stella al suo centro. Attorno a ciascuna stella vi era un sistema di pianeti che, a loro volta, si muovevano nei loro rispettivi vortici.
Quindi Newton non si è limitato a proporre e dimostrare una nuova ipotesi che giustificasse le orbite dei corpi celesti, ma si spinse oltre. Volle formalizzare per la prima volta la meccanica dei fluidi viscosi, così da dimostrare che il moto vorticoso supposto da Cartesio fosse errato.
Difatti, dopo una trattazione dell’acustica, Newton descrive il moto circolare dei fluidi, dimostrando che se i pianeti obbedissero alla teoria dei vortici cartesiani, allora avrebbero dei periodi orbitali proporzionali al raggio orbitale quadrato (). Questo risultato è assurdo, dato che i pianeti ed i loro satelliti hanno dei periodi proporzionali ai raggi orbitali alla 3/2 (). Quindi già solo questa dimostrazione sarebbe bastata a provare l’incorrettezza della teoria dei vortici cartesiani.
Un altra prova che viene presentata a sfavore di tale teoria è rappresentata dal fatto che i copri trasportati in un vortice devono seguire il suo stesso moto, come presentato nella proposizione LIII. Avendo supposto che un corpo coruoti con il fluido e sapendo che gli afeli sono più vicini tra loro rispetto ai perieli, allora per la conservazione della portata del fluido, esso dovrà avere una velocità maggiore nello spazio dell’afelio rispetto a quello del perielio. Anche questo è un altro assurdo, siccome per le leggi astronomiche i corpi celesti sono più lenti negli afeli che nei perieli.
Libro terzo – il sistema del Mondo
Il terzo libro è il cuore fisico dei Principia Mathematica. Qui vengono esposte quelle regole del filosofare che abbiamo presentato all’inizio dell’articolo. Infatti, è nel sistema del mondo che Newton applica il metodo scientifico per descrivere i fenomeni osservabili. Quindi ora è necessario rapportare le dimostrazioni matematiche esposte nei primi due libri alla realtà. Questo è il motivo per cui sono necessarie delle regole, quelle del filosofare, che ne guidino il rapporto.
I fenomeni che vengono studiati sono:
- Il moto dei satelliti attorno a Giove e Saturno.
- Le orbite ed i tempi periodici dei cinque pianeti primari (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno).
- I centri gravitazionali rispettivamente per i pianeti primari e la Luna.
In breve si nota che i satelliti descrivono aree proporzionali ai tempi orbitali attorno al pianeta con periodi , mentre i pianeti si comportano nello stesso modo se si pone il centro gravitazionale nel Sole e non nella Terra.
Questi sono i fenomeni di rilievo che Newton si trova a descrivere e, nel processo, ottiene anche altri risultati notevoli, soprattutto per quanto riguarda una prima formalizzazione rigorosa di questi eventi. Ad esempio, rapporta la gravità alla quantità di materia che ha definito nell’introduzione (definizione I).
Inoltre, intuisce come la gravità dovrà variare nell’avvicinarsi al centro della Terra (proposizione IX). Quindi riesce a quantificare, tramite stime dell’accelerazione gravitazionale a varie latitudini, le deviazioni della superficie terrestre da una sfera perfetta (proposizione XX). Ovvero misura di quanto la Terra sia più schiacciata ai poli rispetto all’equatore grazie alla dipendenza dell’accelerazione gravitazionale dalla distanza dal centro.
Un altro contributo fondamentale è quello relegato ai moti delle maree. Infatti, a quel tempo vi erano varie teorie sul perché delle maree, tra le più accreditate vi erano quelle di:
- Averroé, Alberto Magno e Ruggero Bacone, secondo cui le maree erano dovute al calore della luce lunare che riscaldava gli oceani in modo diverso dipendentemente dalle fasi lunari.
- Galileo, per il quale il moto delle maree era causato dalla composizione del moto rotatorio con quello orbitale della Terra.
- Keplero, che era l’unico che aveva intuito la casualità delle maree con i movimenti delle masse celesti, ma non riuscì a formalizzarlo come Newton fa nei Principia Mathematica.
Il terzo libro si conclude con varie stime delle distanze, delle masse e delle precessioni della Luna e dei pianeti, come anche quelle delle comete.
Scolio generale
In conclusione dell’opera, Newton presenta vari dubbi e riflessioni. Ad esempio espone la “hypotheses non fingo“, ovvero il fatto che allo scienziato deve bastare che il fenomeno esista e si comporti come viene previsto. Oppure rivendica alla scienza una precisa autonomia da ogni causa esplicativa che risieda fuori dai fenomeni da spiegare, munendola di una metodologia il cui fine non é il perché ma il come.
Ma la parte più interessante è la grande incognita che egli stesso non ha avuto l’ardore di trattare, ovvero quale fosse la causa della gravità. Infatti, siccome credeva nel metodo scientifico, non voleva inventare ipotesi che non fossero comprovabili.
Questo è un tema ancora molto dibattuto, difatti in meccanica quantistica non si è ancora riusciti a formalizzare la gravità all’interno della teoria.