I cinque Postulati della Meccanica Quantistica
Come abbiamo già visto nei Principia Mathematica di Newton, per descrivere un nuovo campo della fisica è necessario definire delle basi di partenza univoche e universalmente riconosciute come vere. In meccanica quantistica, sotto l’interpretazione di Copenaghen, tali basi sono composte da cinque postulati:
- Gli stati quantici
- Le osservabili
- La probabilità di un risultato
- Il collasso di una funzione d’onda
- L’equazione di Schrödinger
Gli stati quantici
C’è molto da metabolizzare… Dallo stato di un sistema fisico allo spazio di Hilbert, con calma spiegheremo tutto il necessario per la comprensione di questo e degli altri postulati. Per ora ci basta sapere che lo spazio di Hilbert è un’estensione dello spazio euclideo.
Anzitutto vediamo cosa sia uno stato di un sistema fisico classico. Ipotizziamo di stare andando da Roma all’Aquila e siamo in auto, un bel viaggetto di 125 km. Sia a Roma che allAquila andremo ad una velocità massima di 50 km/h, mentre in autostrada voleremo spensieratamente a 130 km/h ascoltando Martin Garrix. Ora supponiamo “per assurdo” che nostra madre o chi che sia ci chiami una sola volta durante l’intero tragitto in maniera completamente casuale. Se ci chiama al chilometro 40 allora saprà che siamo in autostrada, però se ci chiama al chilometro 125 gli diremo che siamo arrivati all’Aquila. La chiamata non è altro che una misura e la nostra posizione rappresenta lo stato del sistema.
Invece, in meccanica quantistica lo stato di un sistema fisico è definito come un’entità matematica che fornisce una distribuzione di probabilità definita per ogni possibile misura operabile sul sistema. Riprendendo l’esempio di prima, proviamo a chiederci quando sia più probabile che ci chiami: se quando stiamo rilassati in autostrada o imbottigliati nel traffico di una o dell’altra città.
Facendo un banale calcolo del tempo che trascorreremmo rispettivamente a Roma, in autostrada e a L’Aquila, vediamo come sia più probabile ricevere la telefonata in autostrada (linea verde nel grafico). Cioè facendo una telefonata a caso, lo stato “autostrada” è il più probabile tra i tre (“Roma”, “autostrada”, “L’Aquila”). Quindi se venissimo chiamati, ovvero facessimo una misura, al chilometro 40 misureremmo “autostrada”, mentre se lo facessimo al chilometro 125 misureremmo “L’Aquila”.
Ma è qui che le cose si possono complicare, ad esempio introducendo una seconda funzione d’onda fittizia che ci caratterizza la probabilità di quando verrà effettuata la chiamata: la funzione “sesto senso”. Infatti tutti sappiamo come questa persona che ci chiamerà possiede un sesto senso grazie al quale sa quando siamo in dirittura d’arrivo. Supponiamo che sia possibile formalizzarlo tramite una funzione esponenziale che parte da quando abbiamo percorso 80 km. Questo andamento (linea rossa) ci suggerisce che la probabilità massima si avrà quando saremo all’interno dell’Aquila. Ma ciò non basta…
Non possiamo ignorare la funzione d’onda degli stati del sistema e considerare solo quella che caratterizza la nostra misura. Dobbiamo operare un prodotto cartesiano tra le due “sovrapponendole”, così da ottenere una nuova funzione proporzionale alla probabilità di dove riceveremo la chiamata (linea blu). Ora possiamo vedere come sia impossibile ricevere una chiamata quando siamo a Roma, ovvero non potremo mai misurare lo stato “Roma”. Invece risulta molto probabile misurare lo stato “autostrada” ed è anche possibile misurare lo stato “L’Aquila”.
In meccanica quantistica abbiamo gli stati quantici che sono un po’ più complessi di una telefonata in auto. La loro conoscenza rappresenta tutto ciò che si può prevedere sul comportamento del sistema. Ve ne sono di due tipi: gli stati quantici puri e quelli misti. Uno stato quantico puro non può essere espresso come miscela di altri stati quantici, mentre uno misto sì. Gli stati puri sono quelli che chiamiamo “funzioni d’onda”, in particolare quando sono espressi in funzione della posizione o della quantità di moto.
Le osservabili
Le quantità misurabili sono dette osservabili e le più usate in meccanica quantistica sono la posizione e la quantità di moto di una particella. In meccanica quantistica vengono formalizzate introducendo gli operatori lineari autoaggiunti nello spazio di Hilbert.
Quindi quel che si fa per poter giocare con gli strani comportamenti delle osservabili che abbiamo visto prima, è prendere una sorta di funzione, detta operatore, ed associarla ad una determinata osservabile. Questo lo si fa perché le osservabili sono delle variabili aleatorie e, a priori, non possiamo conoscere il valore di un osservabile finché non la misuriamo. Infatti, come vedremo più avanti, quando misuriamo un sistema le osservabili misurate collassano in dei loro autostati (valori).
Allora gli operatori che descrivono le nostre osservabili possono essere analizzati per ottenere tutti i possibili risultati derivanti da una loro misura. Questa varietà di risultati è detta spettro dell’operatore ed è possibile usarlo per tre motivi: gli operatori sono lineari (non fa danno quando li sommo tra loro o li moltiplico per uno scalare), autoaggiunti (mi assicura che lo spettro dell’operatore sia reale) e definiti nello spazio di Hilbert.
La probabilità di un risultato
In matematica lo spazio di Hilbert è uno spazio euclideo che sia anche completo (ha tutte le successioni di Cauchy convergenti) e separabile (ovvero numerabile e denso). Una delle sue caratteristiche principali è il fatto che sia isomorfo a , ovvero che le funzioni definite in siano quadrato sommabili.
Ma la domanda che ci sorge spontanea è ancora insoluta… Perché mai si è deciso di usare questo strano spazio vettoriale? Ci sono varie caratteristiche dello spazio di Hilbert (come ben formalizzato da Mathone) che sono essenziali nella meccanica quantistica:
- Linearità: la sovrapposizione di più vettori restituisce ancora un vettore dello spazio, fondamentale per spiegare fenomeni come la diffrazione e l’interferenza;
- Completezza: fa in modo che se applichiamo un operatore (funzioni che vanno da uno spazio degli stati ad un altro) restituisce ancora uno stato, sarà utile per lavorare con le grandezza fisiche;
- Separabilità: garantisce che un vettore ha una base ortonormale numerabile che lo definisce univocamente, servirà per proiettare i vettori rispetto a certe basi con un particolare significato fisico (ovvero quelle delle posizioni e degli impulsi);
- Quadrato sommabilità: l’integrale del quadrato del modulo di una funzione è finito, proprietà necessaria per poter normalizzare le probabilità introdotte dai moduli quadri delle funzioni d’onda.
Bene, allora usiamo questo spazio di Hilbert. Ma concretamente che ci sta dentro? Cioè qual’è il significato fisico dei vettori che abitano in ?
Come accennato nel primo postulato, in questo spazio ci abitano le rappresentazioni degli stati di sistemi fisici isolati, ovvero i ket nel formalismo di Dirac. Per uno stato è possibile definire un ket e un bra , che vive nello spazio duale di Hilbert ().
Questo, assieme ai funzionali, permette di fare operazioni fondamentali tra gli stati come il prodotto scalare . Il prodotto scalare consente di proiettare uno stato in un altro definendo la probabilità di passare dallo stato ad che, nel caso di stati normalizzati ad uno, risulta essere:
P \left( \ket{B} \to \ket{A} \right) = \left| \braket{A|B} \right|^2
La nuova formalizzazione della probabilità di passare da uno stato ad un altro è la vera e propria interpretazione probabilistica della meccanica quantistica. Ad esempio la probabilità che prendendo una particella di funzione d’onda la si trovi nella posizione è , con . Ovvero abbiamo introdotto la sovrapposizione degli stati tramite il formalismo braket. È proprio questo che ci permette di affermare il come un osservatore cambi lo stato della particella semplicemente operando una misura.
Il collasso di una funzione d’onda
Quando si misura un osservabile, non si sta facendo altro che un prodotto scalare tra lo stato della particella e un altro deciso da noi, cioè lo stato della misura che è sufficientemente arbitrario. Quindi ogni volta che operiamo una misura cambiamo effettivamente lo stato della particella e, come abbiamo visto in “Cos’è la Meccanica Quantistica?”, la funzione d’onda collasserà. Questo fatto viene formalizzato nel quarto postulato, conosciuto anche come postulato di von Neumann.
Un’osservabile ha molti valori possibili che determineranno altrettanti sottospazi vettoriali. Se misurando un’osservabile, che è una variabile aleatoria, otteniamo un autovalore , allora questo ci selezionerà uno di quei sottopazi vettoriali di detto autospazio. Questo autospazio è semplicemente un sottospazio composto dagli autovettori di , ovvero da vettori le cui immagini sono i vettori stessi moltiplicati per l’autovalore .
L’equazione di Schrödinger
Se invece volessimo predire come si evolva un sistema quantistico nel tempo, come dovremmo operare? Sicuramente sarà necessario capire come si evolve la funzione d’onda all’avanzare del tempo, ciò significa creare una controparte quantistica della seconda legge di Newton (esposta nei Principia Mathematica).
Difatti, dato un insieme di condizioni iniziali, la seconda legge di Newton fornisce una predizione matematica sulla traiettoria che un sistema fisico percorrerà. L’equazione di Schrödinger fornirà l’evoluzione temporale dell’equazione d’onda, che è la caratterizzazione quanto-meccanica di un sistema fisico isolato.
Dove è l’unità immaginaria, è la fondamentale costante di Planck ridotta e è l’operatore hamiltoniano del sistema, ossia quell’operatore che descrive l’evoluzione temporale del sistema fisico.
Con un minimo di basi sul calcolo differenziale e avendo capito cosa siano lo stato quantico e l’operatore hamiltoniano , è facile vedere come l’equazione di Schrödinger ci dia una sintetica formalizzazione dell’evoluzione temporale di un sistema quantistico.
Però non è tutto oro quel che luccica, infatti la sua risoluzione è complessa. Ad oggi non sono molti i sistemi di cui si possa avere una risoluzione analitica dell’equazione di Schrödinger. Spesso si opta per approssimazioni o risoluzioni numeriche, ovvero tramite computer, come per molti modelli atomici e molecolari.
Tutti questi postulati hanno permesso una formalizzazione assiomatica della meccanica quantistica, quindi ne hanno permesso lo sviluppo tramite dimostrazioni matematiche che partono da questi cinque postulati prendendoli come assiomi, cioè come verità. Ciò non compromette le derivazioni che ne seguono, siccome tali postulati sono frutto di una serie di osservazioni empiriche a loro volta riassunte nei sette concetti base della meccanica quantistica.