A 100 anni dalla marcia su Roma…
La storia, diceva Marx, non si ripete mai se non come farsa.
A 100 anni dalla marcia fascista delle camicie nere su Roma del 28 Ottobre 1922, la vittoria della coalizione di centrodestra (per alcuni estrema destra) con il 44% dei voti, riporta in Italia ed Europa lo spettro di un passato forse mai estirpato.
In molti, guardando con preoccupazione al Bel Paese si chiedono: a distanza di esattamente un secolo, stiamo assistendo ad un ritorno del fascismo in Italia?
Il riferimento e la preoccupazione riguardano la figura di una giovane donna, madre e cristiana, come lei ama definirsi: Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia. Movimento fondato nel 2012 che ha parzialmente ereditato lo spirito e la simbologia del partito post-fascista in cui, dopo la caduta della Repubblica di Salò e la morte di Mussolini, sono confluite le forze disperse del fascismo.
Per molti è fin troppo semplice suonare l’allarme e cercare di riscuotere la forza della tradizione anti-fascista su cui la Repubblica Italiana si è fondata, come baluardo contro il nuovo nemico fascista. Soprattutto da parte di una sinistra italiana completamente allo sbando, estremamente frammentata e non in grado di reinventarsi e proporre dei veri cambiamenti. In queste elezioni caratterizzate da un diffuso disinteresse e apatia, l’elettorato (astensionismo al 36%) ha scelto quella che sembrava l’unica alternativa. Una donna dai molti volti. Una leader carismatica che ha saputo trasformarsi e portare il proprio partito in pochi anni dal 4% del 2018, al 26% delle recenti elezioni. Una diversa forma di populismo non troppo distante da quella di Matteo Salvini, leader della Lega e partner della coalizione di centro destra, da cui ha ripreso la strategia mediatica per la costruzione di un nuovo personaggio social. Come Salvini anche la Meloni cavalca l’onda dell’insoddisfazione, della xenofobia e del disagio (come in passato ha fatto anche Mussolini), con il vantaggio di essere stato l’unico partito di opposizione al governo Draghi, assorbendo quindi tutte le quote dell’opposizione.
Si può già evidenziare come in realtà forse non è tanto la Meloni l’estremista della coalizione di centro destra (o estrema destra) ma bensì Salvini, il grande perdente delle elezioni… per non parlare dell’impresentabile Berlusconi, l’amico di Putin, che si presenta come rappresentante dei moderati e cattolici.
Possiamo pensare in buona fede che Giorgia Meloni si sia lasciata un certo passato alle spalle, pensiamo alla sua militanza in organizzazioni giovanili di estrema destra (Fronte della Gioventù ed Azione Studentesca) o almeno cerca ormai più o meno attivamente di discostarsi da certe prese di posizione abbastanza imbarazzanti di esponenti del suo partito. Un lavaggio di facciata e forse in parte un mutamento in foro interno, iniziato già nel 2016 quando si è candidata a sindaco di Roma.
Molto interessante è da notare il ruolo che la religione gioca all’interno di questa coalizione e futuro governo di centrodestra (Salvini bacia crocifissi e si fa ritrarre spesso su uno sfondo di icone della Madonna, Meloni cristiana mai vista in chiesa… Berlusconi emblema della decadenza morale dell’Italia che però fa appello al voto cattolico) con un’accusa di clerico-fascismo che aleggia nell’aria.
Un nuovo post-fascismo?
Dopo questo primo quadro introduttivo riusciamo quindi a trovare qualche elemento in comune tra questa destra ed il fascismo degli anni ’20? Sicuramente il termine di paragone non è la marcia su Roma, come invece abbiamo visto scrivere ultimamente. Manca assolutamente l’elemento della violenza. Elemento chiave nella strategia fascista di conquista del potere. La destra in Italia è arrivata al potere in modo assolutamente pacifico, legale e democratico.
Probabilmente è proprio sbagliato in partenza cercare di paragonare il fascismo, che parte come movimento socialista rivoluzionario spostandosi poi a destra, con l’attuale destra. Fascismo caratterizzato da spirito di violenza e di dominazione profondamente anti-democratici e da un intrinseco disconoscimento dei principi morali e dei diritti naturali/fondamentali. Valore supremo non l’umanità ma la nazione. Si può forse vedere quindi un’ombra di questa, non ideologia ma metodo, nel neo-nazionalismo della Meloni (fino a poco tempo fa spingeva per uscire dall’euro) a cui rimanda anche il nome del partito “Fratelli d’Italia” che richiama la prima strofa dell’Inno di Mameli. Partito che la Meloni definisce conservatore di ispirazione anglosassone e che parla agli “esuli in patria”, agli esclusi dal pensiero unico e dal vivere in un certo modo in società.
Un elemento che forse possiamo ritrovare in comune riguarda la strumentalizzazione della religione. All’inizio degli anni ’20 si era consolidato un sostegno al fascismo in chiave anticomunista. In Italia i popolari (futura base del partito democrazia cristiana) appellavano ad un certo milieu cattolico votando anche la fiducia al governo Mussolini, rapporto che culmina con il Concordato, ed è questa una cosa simile che cerca e cercherà di fare la Meloni.
Anche una volta caduto il regime fascista, dopo la guerra, quello del mondo cattolico e dal Vaticano non era un sostegno e finanziamento mirato del post-fascismo del MSI, ma era parte della strategia più ampia per porre un argine al dilagare del comunismo che, caduto il fascismo, si era enormemente irrobustito.
Ora una breve riflessione sulla simbologia. La questione della fiamma tricolore presente sul simbolo del partito. Il rifiuto di eliminarla, rivela, seppur forse velata, la volontà di rifarsi al passato, è sicuramente un rimando o semplicemente un’eredità accolta (strizzando l’occhio alla vera base elettorale che ha accompagnato il partito dall’inizio e che ha innegabilmente delle tendenze di estrema destra). Un gioco di equilibri e la difficoltà del tenersi stretta la storica base elettorale appellando contemporaneamente a quegli elettori più moderati (con il suo volto moderato ed istituzionale), allontanando personaggi ambigui del partito e cercando di nascondere la polvere sotto il tappeto. Questi sono innegabilmente degli aspetti problematici del movimento politico della Meloni. Come il fatto di aver candidato il pronipote di Mussolini alle elezioni europee del 2019. Però a quanto pare basta pronunciare come un mantra Dio, patria e famiglia per placare le preoccupazioni. Ma questo non può mascherare il fatto che la fiamma tricolore (il simbolo politico italiano più antico attualmente in uso) che spicca sul simbolo del partito “Fratelli d’Italia” è un simbolo introdotto dai fascisti reduci della Repubblica di Salò che fondarono il MSI.
Riflessioni sulla retorica, su una certa terminologia ed uso del linguaggio assolutamente discriminatorio. Meloni che invoca “Generazioni di nuovi Italiani sani e determinati” ed un superamento delle devianze come droga e bullismo ma anche obesità ed anoressia.
Una retorica che sfrutta come suo strumento principale i social, dove si esaltano le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, si inneggia al blocco navale per impedire le partenze dei barconi e si pubblica un video di uno stupro perché commesso da un richiedente asilo. Toni a cui l’Italia non è nuova, usati abbondantemente da un personaggio probabilmente più estremista della Meloni: il leader della Lega, Matteo Salvini.
Guardando al passato di Giorgia emergono la sua suddetta militanza nei gruppi giovanili, la posizione di coordinatrice e presidente di questi gruppi giovanili di estrema destra ed il suo ruolo di Ministro per la Gioventù del governo Berlusconi IV. Tutto questo non può non ricordarci l’importanza dei gruppi giovanili militanti tipica, non solo ma anche, del fascismo e nazionalsocialismo e che ritroviamo nelle piazze italiane degli anni ’70, quando movimenti di destra si scontravano con una sinistra inardita a seguito del ’68.
Altro tassello fondamentale nell’idea meloniana del rapporto con il cittadino riguarda lo Stato, che la differisce dalle altre culture della destra, in primis quella liberale. Per la destra della Meloni lo Stato ha, almeno in teoria (dovremo vedere come si muoverà il nuovo governo), una forte caratura sociale, è un calibratore degli interessi della persona e il primato è dello Stato prima che dell’individuo. È l’idea di uno Stato centralista, uno stato che si riconduce alla comunità.
L’impressione è che la Meloni voglia impostare una svolta autoritaria del Bel Paese. (Veleno biondo – “Si presenta come cristiana, moderna e innocua. Allo stesso tempo Giorgia Meloni vuole trasformare l’Italia in uno stato autoritario, se vincerà le elezioni” (Stern)). A questo si aggiunge che la vittoria del centrodestra in realtà dimostra, come anche in Italia, persista il fascino del nazionalismo che domina in un contesto dove si percepisce troppo poco la solidarietà europea. Un’Europa che spesso viene presentata come il nemico della sovranità popolare di un’Italia che si cerca di compattare, combattendo il diffuso regionalismo, spingendo verso un non meglio definito, quasi presunto, patriottismo. Come lei stessa ha sottolineato dicendo recentemente “al governo per unire gli italiani”. Detto questo la preoccupazione principale per l’establishment europeo riguarda quindi probabilmente più che altro il fatto che la coalizione di centro destra a guida Meloni possa in futuro minare la flebile coesione europea in quanto malata di atlantismo e circostanzialmente/pragmaticamente europea quando bisognosa di fondi. Una preoccupazione che riguarda anche il tentativo di svincolarsi dagli obblighi dei trattati europei modificando la costituzione.
Forse però un rapporto tra fascismo, partito della Meloni e nuovo governo c’è: il neoeletto presidente del senato Ignazio Benito La Russa. Cofondatore di Fratelli d’Italia, figlio di un politico del Partito Nazionale Fascista e poi senatore del MSI, al centro di polemiche per un saluto romano del fratello, ha militato nel Fronte della Gioventù ed è stato ministro della difesa nel governo Berlusconi che convinse a partecipare militarmente in Libia. La Russa ha vari busti ed immagini del Duce a casa e ogni tanto se ne esce con frasi come “siamo tutti eredi del Duce”, ma chi lo conosce ne parla come una brava persona…
Un filo conduttore che dal socialismo rivoluzionario di Mussolini, dall’estremismo di destra del fascismo al potere, passando per il movimento post-fascista MSI porta direttamente attraverso un personaggio come La Russa ad una forma blandissima di post-fascismo nella nuova legislatura italiana. Soprattutto considerando che l’MSI nasce ad opera dei reduci della Repubblica di Salò dove erano attivi gli elementi più violenti ed intransigenti del fascismo. Alcuni di questi elementi sono confluiti nell’MSI ed è questa la linea che possiamo seguire e che ci porta direttamente al nuovo governo. Questa è la dimostrazione di come il fascismo, e in generale tutte le forme embrionali di pre-totalitarismo, possano germinare e muoversi sia a destra che a sinistra, fino a sfociare nell’attualità in un governo conservatore di destra che poco avrebbe a che fare con il governo di Mussolini. Ma forse, perchè una simpatia fascista in Italia c’è sempre stata (quel mito del fascismo buono… se l’Italia non fosse entrata in guerra), forse ritroveremmo il limite riflettendo sul fatto che il fascismo è stato un regime totalitario (o totalitarismo incompleto come direbbe Arendt) e non una semplice cultura politica.
In realtà stiamo assistendo ad una dissoluzione della cultura politica e a quello che fondamentalmente è un percorso discendente nell’interesse dei cittadini per la politica. Un interesse che non è stato riscosso probabilmente né da un non meglio definito post-fascismo ma semplicemente dal carisma della Meloni e dall’assenza di un’alternativa credibile non appartenente all’establishment politico. Non è stata lanciata una vera sfida allo stato liberale. Le strade e le piazze sono rimaste quasi vuote, a differenza del fascismo che invece utilizzava due metodi differenti, ovvero le pratiche terroristiche delle violenze squadriste e i patti formali (pensiamo anche ai Patti Lateranensi), e questo ha permesso a Mussolini di conquistare il potere politico a cui tramite le elezioni non era arrivato.
Concludiamo sottolineando come queste moderne elezioni, in realtà, non dimostrano una deriva dell’Italia verso una non meglio precisata destra, in quanto (secondo Horowitz per il NYT) “l’Italia ha fatto nuovamente ricorso al desiderio perenne di un nuovo leader che potesse risolvere tutti i suoi mali”. Probabilmente la Meloni si è semplicemente trovata nel posto giusto al momento giusto.
Come ha scritto Die Welt quello della Meloni è stato assolutamente “Un successo antipolitico” che, aggiungo io, ha poco a vedere con il fascismo mussoliniano.
“La vittoria elettorale di Meloni è un successo antipolitico. Il successo del partito di Giorgia Meloni non è il successo di un’idea politica. Essa si basa principalmente sul fatto che i Fratelli sono stati gli unici tra i soggetti percettibili ad essersi opposti. Dietro di lei si radunano gli insoddisfatti, i frustrati e gli stanchi della politica.”
Interessante è il fatto che Meloni è riuscita a far convivere il nuovo con un riferimento incessante, anche se moderato, ad un passato remoto già sconfitto, e con disonore, dalla storia.