4 novembre: San Carlo Borromeo, vescovo

Oggi si ricorda il compatrono di Milano, nonché protettore dei frutteti di mele; si invoca contro le ulcere, i disordini intestinali, le malattie dello stomaco

Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo. (dal Martirologio)

Nato ad Arona[1] il 2 ottobre 1538 da Gilberto II Borromeo e Margherita Medici di Marignano, sorella di papa Pio IV, crebbe nella nobile e possidente famiglia Borromeo. Tra i racconti aneddotici della prima giovinezza si narra che durante l’occupazione spagnola della Rocca di Arona, proprietà dei Borromeo, egli partecipò in prima persona alla difesa. All’età di circa 12 anni, suo zio, Giulio Cesare Borromeo, lo investì della dignità di abate e gli affidò la rendita di un’abbazia, il reddito della quale fu da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri.

Studiò diritto canonico e civile a Pavia. Nel 1554 morì suo padre. Pur avendo un fratello maggiore, il conte Federico Borromeo, gli fu richiesto dai parenti prossimi di prendere il controllo degli impegnativi affari di famiglia; solo dopo un certo periodo poté quindi riprendere i suoi studi e laurearsi nel 1559.

A Pavia creò nel 1564 una struttura residenziale molto attrezzata per ospitare studenti universitari di scarse condizioni economiche, ma con elevati livelli di preparazione e attitudine allo studio; istituto che da lui prese il nome di Almo Collegio Borromeo. Questa istituzione rappresenta il più antico e prestigioso collegio storico di Pavia e tra i più antichi d’Italia.

Nel 1560, lo zio materno, Giovan Angelo Medici di Marignano, venne eletto papa con il nome di Pio IV (1559 – 1565) e invitò a Roma i suoi nipoti Carlo e il fratello primogenito Federico.

Nel 1562 Federico morì improvvisamente, perciò fu consigliato a Carlo di lasciare l’ufficio ecclesiastico e di trovare moglie con cui avere dei figli, per non estinguere la dinastia familiare. Carlo, tuttavia, rifiutò, sostenendo che avendo espresso voto di castità a Dio, era meglio per lui conservare tale stato piuttosto che infrangere il voto fatto e contaminarsi il corpo e l’anima con una donna.

Nel 1563 fu ordinato sacerdote e subito dopo consacrato vescovo. Partecipò alle ultime fasi del Concilio di Trento (1545 – 1563), diventando uno dei maggiori promotori della controriforma; fece parte della commissione incaricata di revisionare la musica liturgica; collaborò in larga parte alla stesura del Catechismo Tridentino (Catechismus Romanus).

Successivamente, l’8 febbraio 1560, fu nominato arcivescovo di Milano. In conformità ai desideri del papa, visse in modo cònsono al suo elevato grado sociale, caratterizzandosi però per la sua temperanza e la sua umiltà che non furono mai tralasciate.

Nel 1565, lasciata la corte pontificia, entrò della diocesi di Milano, nella quale da circa 80 anni mancava un vescovo residente e nella quale si era radicata una situazione di pesante degrado, con prelati dediti alle mondanità e presbiteri non preparati e spesso scostumati.

Ristabilì una rigida disciplina nel clero, spendendosi per il rafforzamento della moralità e della preparazione dei sacerdoti, secondo le direttive del Concilio tridentino (costituì il seminario maggiore di Milano, il seminario elvetico e altri seminari minori: decretò, inoltre, che i presbiteri non potessero coabitare con donne, neppure loro strette consanguinee.

Per la sua opera riformatrice si servì anche dell’opera dei recenti ordini religiosi (Gesuiti, Teatini, Barnabiti) e fondò la congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio nel (1578).

Negli anni del suo episcopato, dal 1565 al 1584, si dedicò alla diocesi milanese costruendo e rinnovando chiese (i santuari di Rho e del Sacro Monte di Varese, San Fedele a Milano e la chiesa della Purificazione di Maria Vergine in Traffiume, si impegnò nelle visite pastorali, curò la stesura di norme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici. Fu nominato legato della Provincia di Romagna e visitatore apostolico di alcune diocesi suffraganee di Milano, in particolare Bergamo e Brescia, dove compì minuziose visite a tutte le parrocchie del territorio.

La sua azione pastorale si allargò anche all’istruzione del laicato con la fondazione di scuole e collegi (quello di Brera, affidato ai gesuiti, o il Borromeo di Pavia).

Si impegnò in opere assistenziali in occasione di una durissima carestia nel 1570 e, soprattutto nel periodo della terribile peste del 1576 – 1577, detta anche “peste di San Carlo”. Alessandro Manzoni (1785 – 1873) ne traccia nei Promessi sposi (1842) un ritratto nel quale sottolinea il suo impegno caritativo a favore della popolazione milanese colpita dal contagio.

Nella diocesi impose regole severe, come la separazione di uomini e donne nelle chiese e la repressione degli adulteri; inoltre pretese la sottomissione alle regole vescovili di religiosi e laici organizzando anche una milizia privata (e armata) ai suoi diretti ordini con funzioni di polizia, il che ovviamente lo portò a scontrarsi con le legittime autorità preposte al mantenimento dell’ordine civico. In questo scontro non esitò a ricorrere anche alle scomuniche, pur di prevalere sulle autorità secolari. Ciò gli valse numerose critiche e accuse di eccessivo rigorismo da parte delle autorità civili milanesi.

Contrastò il potente ordine religioso degli Umiliati le cui idee si allontanavano dalla Chiesa cattolica con pericolo di scivolare verso posizioni protestanti e calviniste. Alcuni membri dell’ordine organizzarono per giunta un attentato alla sua vita, tuttavia il colpo di archibugio sparato alle spalle mentre il vescovo era inginocchiato a pregare e sparato da Gerolamo Donato, detto il Farina, un frate umiliato, non ebbe conseguenze; in ciò si vide un evento miracoloso.

Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita: « …e circa mezz’ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell’Arcivescovado e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell’oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, li quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore). »

I quattro responsabili dell’attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore. I beni dell’ordine soppresso, furono quindi devoluti ad altri ordini e in particolare i possedimenti a Brera furono dati ai Gesuiti e furono finanziate opere religiose come le costruzioni del collegio Elvetico e della chiesa di San Fedele. Rei confessi, sotto tortura, Gerolamo Donato, detto Farina, i Prevosti, Girolamo di Cristoforo di Vercelli, Lorenzo da Caravaggio condannati a morte: Bartolomeo da Verona, delatore, condannato a 5 anni di carcere: autori della congiura.

Nonostante le Diete di Ilanz del 1524 e del 1526 avessero proclamato la libertà di culto nella Repubblica delle Tre Leghe in Svizzera, il Borromeo combatté il protestantesimo nelle valli svizzere, imponendo rigidamente i dettami del Concilio di Trento. Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina in Svizzera fece arrestare per stregoneria un centinaio di persone, dopo le torture quasi tutti abbandonarono le fede protestante salvandosi così la vita, dieci donne e il prevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù.

Milano, Duomo, Scurolo di San Carlo Borromeo, dal XVII secolo accoglie le spoglie del Santo
Rese l’anima al Signore, assistito dal suo vicario generale Owen Lewis il 3 novembre 1584 a Milano lasciando il suo patrimonio ai poveri. Essendo spirato dopo il tramonto (precisamente alle 20.30), secondo l’uso del tempo venne considerato il giorno 4 come sua ricorrenza.

Fu proclamato beato nel 1602 e fu canonizzato il 1º novembre 1610; la ricorrenza cade il giorno dopo la sua morte, il 4 novembre. Nel terzo centenario della canonizzazione, il 26 maggio 1910 papa Pio X scrisse l’enciclica Editae Saepe in cui celebrò la memoria e l’opera apostolica e dottrinale di Carlo Borromeo.

Nel processo di canonizzazione i contemporanei dettero l’appellativo di “castissimo” a Carlo Borromeo per la sua tenacia nella virtù della castità e della verginità consacrata. In gioventù aveva gettato a terra un suo vecchio servitore che gli aveva fatto accomodare una donna nel suo letto, pensando di fargli cosa gradita e non immaginando la sensibilità religiosa del giovane signore.

San Carlo rimase terribilmente sconvolto anche quando si imbatté nella scultura della moglie del Barbarossa, la bionda e bella Leobissa, dai milanesi per scherno effigiata nuda nella pietra e in atto di radersi come usavano le prostitute. Essa aveva da secoli partecipato con la sua familiare immobile presenza allo scorrere della vita cittadina. Nel vederla incombente a gambe larghe sul capo dall’arco di Porta Tosa (attuale Porta Vittoria), il santo si sentì oltremodo beffato e annichilito. Nulla infatti più delle femmine, anche se del tutto vestite, o riprodotte addirittura nude, anche se nel freddo marmo, odiava mortalmente, «il Castissimo, in tutta la sua vita non volendo parlar mai con donna alcuna, anche se gli fosse stretta parente» (Padre Grattarola).

San Carlo Borromeo è ricordato da una gigantesca statua ad Arona chiamata il Sancarlone che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere il culmine di un Sacro Monte a lui dedicato, ma mai completato.

Tale opera, alta 23 metri, in lamina di rame fissata con rivetti, su un’anima in muratura (al cui interno è possibile accedere), ha ispirato la tecnica di costruzione della Statua della libertà di New York (U.S.A.).

È considerato protettore dei frutteti di mele; si invoca contro le ulcere, i disordini intestinali, le malattie dello stomaco; è patrono di Milano insieme con Sant’Ambrogio e San Galdino, della Lombardia, di Monterey in California e compatrono di Francavilla Fontana in Puglia; patrono dei seminaristi, dei direttori spirituali e dei capi spirituali.

Altri Santi che la Chiesa commemora il 4 novembre

Santi Vitale e Agricola, martiri – A Bologna, santi Vitale e Agricola, martiri, dei quali, secondo quanto racconta sant’Ambrogio, il primo fu dapprima schiavo dell’altro, poi compagno di martirio: Vitale, infatti, patì tali tormenti da non esserci più parte del suo corpo senza ferita; Agricola, per nulla atterrito dal supplizio del suo schiavo, lo imitò nel martirio subendo la crocifissione. (dal Martirologio)

Santi martiri Nicandro, vescovo, e Ermete, sacerdote – A Mira in Licia, nell’odierna Turchia, santi martiri Nicandro, vescovo, e Ermete, sacerdote. (dal Martirologio)

San Pierio, sacerdote di Alessandria – Commemorazione di san Pierio, sacerdote di Alessandria, che, insigne filosofo, ma ancor più illustre per l’integrità di vita e la volontaria povertà, istruì con cura il popolo nella Sacra Scrittura al tempo in cui Teona reggeva la Chiesa di Alessandria e, finita l’epoca delle persecuzioni, riposò a Roma nella pace. (dal Martirologio)

Sant’Amanzio, vescovo – A Rodez in Aquitania, ora in Francia, sant’Amanzio, vescovo, che si ritiene sia stato il primo presule di questa città. (dal Martirologio)

San Perpetuo, vescovo – A Maastricht nel Brabante, nell’odierna Olanda, san Perpetuo, vescovo. (dal Martirologio)

Santa Modesta, badessa – A Treviri in Austrasia, nell’odierna Germania, santa Modesta, badessa, che, consacrata a Dio fin dall’infanzia, resse per prima in questa città il gregge delle vergini consacrate del monastero di Öhren e fu unita a santa Gertrude di Nivelles da grande amicizia in Dio. (dal Martirologio)

Sant’Emerico o Enrico – Ad Székesfehérvár in Pannonia, nell’odierna Ungheria, sant’Emerico o Enrico, figlio di santo Stefano re d’Ungheria, colto da morte prematura. (dal Martirologio)

San Felice di Valois – Presso Cerfroid nel territorio di Meaux in Francia, san Felice di Valois, che, dopo avere condotto per lungo tempo vita solitaria, si ritiene sia stato compagno di san Giovanni de Matha nel fondare l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi. (dal Martirologio)

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