3 giugno: Santi Carlo Lwanga e dodici compagni, martiri

La Chiesa commemora oggi un martire ugandese capo dei paggi della corte del re di Buganda Mwanga II: fu ucciso durante le persecuzioni anticristiane nel suo paese

Memoria dei santi Carlo Lwanga e dodici compagni, martiri, che, di età compresa tra i quattordici e i trent’anni, appartenenti alla regia corte dei giovani nobili o alla guardia del corpo del re Mwanga, neofiti o fervidi seguaci della fede cattolica, essendosi rifiutati di accondiscendere alle turpi richieste del re, sul colle di Namugongo in Uganda furono alcuni trafitti con la spada, altri arsi vivi nel fuoco. I loro nomi sono: santi Mbaya Tuzinde, Bruno Seronuma, Giacomo Buzabaliao, Kizito, Ambrogio Kibuka, Mgagga, Gyavira, Achille Kiwanuka, Adolfo Ludìgo Mkasa, Mukasa Kiriwanvu, Anatolio Kiriggwajjo, Luca Banabakintu. (dal Martirologio)

Il martirio di Carlo Lwanga e dei suoi compagni si svolse durante il regno di Mwanga II. Inizialmente sostenuto dai cristiani (cattolici e anglicani) che facevano fronte comune contro la tirannia del re musulmano Kalema, ben presto re Mwanga vide nel cristianesimo il maggior pericolo per le tradizioni tribali ed il maggior ostacolo per le sue dissolutezze. A sobillarlo contro i seguaci di Cristo furono soprattutto gli stregoni che vedevano compromesso il loro ruolo ed il loro potere e così, nel 1885, ebbe inizio un’accesa persecuzione.

Il 15 novembre 1885 Mwanga fece decapitare il maestro dei paggi e prefetto della sala reale, San Giuseppe Mkasa Balikuddembè, le cui colpe erano l’essere cattolico e l’aver difeso a più riprese i giovani paggi dalle avances sessuali del re. Venne sostituito nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sul quale si concentrarono subito le attenzioni morbose del re. Anche Lwanga era cattolico e nel periodo burrascoso in cui i missionari erano messi al bando, assunse una funzione di leader sostenendo la fede dei neoconvertiti.

Venne processato e il 25 maggio 1886 condannato a morte insieme ad un gruppo di cristiani e quattro catecumeni, che nella notte furono battezzati segretamente; il più giovane, Kizito, del clan Mmamba, aveva appena 14 anni. Il 26 maggio vennero uccisi San Andrea Kaggwa, capo dei suonatori del re e suo familiare, che si era dimostrato particolarmente generoso e coraggioso durante un’epidemia, e san Dionigi Ssebuggwawo.

Il resto dei condannati fu trasferito da Munyonyo, dove c’era il palazzo reale, a Namugongo, luogo delle esecuzioni capitali: distante 27 miglia, il trasferimento durò otto giorni, tra le pressioni dei parenti, che li spingevano ad abiurare la fede, e le violenze dei soldati. Qualcuno venne ucciso lungo la strada: il 26 maggio venne trafitto da un colpo di lancia San Ponziano Ngondwe, del clan Nnyonyi Nnyange, paggio reale, che aveva ricevuto il battesimo mentre già infuriava la persecuzione e per questo era stato immediatamente arrestato; il paggio reale San Atanasio Bazzekuketta, del clan Nkima, venne martirizzato il 27 maggio. Alcune ore dopo cadde trafitto dalle lance dei soldati il servo del re [san Gonzaga Gonga]] del clan Mpologoma, seguito poco dopo da San Mattia Mulumba del clan Lugane, elevato al rango di giudice che già cinquantenne, da appena tre anni si era convertito al cattolicesimo.

Il 31 maggio venne inchiodato ad un albero con le lance dei soldati e quindi impiccato San Noè Mawaggali, un altro servo del re, del clan Ngabi. Il 3 giugno, sulla collina di Namugongo, vennero arsi vivi 31 cristiani: molti anglicani e il gruppo di tredici cattolici che faceva capo a Carlo Lwanga. Il gruppo di questi martiri è costituito inoltre da: San Luca Baanabakintu, San Gyaviira Musoke e San Mbaga Tuzinde del clan Mmamba; San Giacomo Buuzabalyawo, figlio del tessitore reale e appartenente al clan Ngeye; Sant’Ambrogio Kibuuka dei Lugane e Sant’Anatolio Kiriggwajjo, guardiano delle mandrie del re; dal cameriere del re, San Mukasa Kiriwawanvu e dal guardiano delle mandrie del re, San Adolofo Mukasa Ludico dei Ba’Toro; dal sarto reale San Mugagga Lubowa dei Ngo, da Sant’Achilleo Kiwanuka dei Lugave e da San Bruno Sserunkuuma dei Ndiga.

La beatificazione nel 1920 da parte di Papa Benedetto XV di ventidue martiri di origine ugandese suscitò un certo scalpore, forse perché allora, sicuramente più di ora, la gloria degli altari era legata a determinati canoni di razza, lingua e cultura. In effetti, si trattava dei primi santi dell’Africa nera ad essere riconosciuti martiri e, in quanto tali, venerati dalla Chiesa cattolica. Venne canonizzato l’8 ottobre 1964 a Roma da Paolo VI che, durante il suo viaggio in Africa del 1969 inaugurò sul luogo del suo martirio il santuario dedicato ai Santi Martiri dell’Uganda. (fonte Cathopedia)

Altri Santi che la Chiesa commemora il 3 giugno

San Cecilio, sacerdote – A Cartagine, nell’odierna Tunisia, san Cecilio, sacerdote, che condusse san Cipriano alla fede di Cristo. (dal Martirologio)

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Sant’Ilario, vescovo di Carcassonne – A Carcassonne nella Gallia narbonense, in Francia, sant’Ilario, che si ritiene sia stato il primo vescovo di questa città, al tempo in cui i Goti diffondevano in questa regione l’eresia ariana. (dal Martirologio)

Santa Clotilde, regina – A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, santa Clotilde, regina, le cui preghiere indussero suo marito Clodoveo, re dei Franchi, ad accogliere la fede di Cristo; dopo la morte del coniuge, si ritirò presso la basilica di san Martino, per non essere più ritenuta una regina, ma una vera serva del Signore. (dal Martirologio)

San Lifardo, sacerdote – A Mehun-sur-Loire nel territorio di Orléans sempre in Francia, san Lifardo, sacerdote, che condusse in questo luogo vita eremitica. (dal Martirologio)

Santa Oliva, vergine – Ad Anagni oggi nel Lazio, santa Oliva, vergine. (dal Martirologio)

San Coemgen, abate – A Glandáloch in Irlanda, san Coemgen, abate, che fondò un monastero, nel quale si ritiene sia stato padre e guida di molti monaci. (dal Martirologio)

San Genesio, vescovo – A Clermont-Ferrand in Aquitania, in Francia, san Genesio, vescovo, il cui corpo fu deposto a Manglieu nella chiesa del monastero da lui stesso fondato con l’annesso ospizio. (dal Martirologio)

Sant’Isacco, martire – A Córdova nell’Andalusia in Spagna, sant’Isacco, martire, che, monaco, durante la dominazione dei Mori, spinto non da un umano impulso, ma da ispirazione divina, sceso dal cenobio di Tábanos si presentò nel foro al giudice per disputare con lui circa la vera religione e fu per questo condannato a morte. (dal Martirologio)

San Davíno, armeno – A Lucca, san Davíno, che, di origine armena, venduti tutti i beni, si tramanda si sia fatto pellegrino per Cristo e sia morto di malattia, di ritorno dalla visita ai luoghi santi e alle basiliche degli Apostoli. (dal Martirologio)

San Morando, monaco – Nel villaggio di Altkirch nel territorio di Basilea nell’odierna Svizzera, san Morando, monaco, che, nato in Renania, già sacerdote si recò a Compostela e, al suo ritorno, si fece monaco a Cluny, fondando poi il monastero in cui concluse il corso della sua intensa vita. (dal Martirologio)

San Cono, monaco – Nel cenobio di Santa Maria di Cadossa in Lucania, san Cono, monaco, che nella pratica monastica e nell’innocenza di vita, con l’aiuto di Dio giunse in breve tempo al culmine di ogni virtù. (dal Martirologio)

San Giovanni Grande, religioso – A Jerez nell’Andalusia in Spagna, san Giovanni Grande, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio, che rifulse per la sua carità verso i prigionieri, gli abbandonati e gli emarginati e morì contagiato lui stesso dalla peste mentre curava i malati. (dal Martirologio)

San Pietro Dông, martire – Nella città di Âu Thi nel Tonchino, ora Viet Nam, san Pietro Dông martire, che, padre di famiglia, preferì subire crudeli supplizi piuttosto che calpestare la croce e, dopo essersi fatto incidere sul volto le parole “vera religione” anziché “falsa religione”, fu decapitato sotto l’imperatore Tu Duc. (dal Martirologio)

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