23 settembre: San Pio da Pietrelcina (Francesco Forgione), presbitero
Oggi la Chiesa ricorda un frate destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni, anche in seguito alla fama di taumaturgo e per il dono delle stigmate. Fu anche fatto oggetto di forti critiche e di sospetti in ambienti ecclesiastici e non, fino a vera e propria persecuzione
Memoria di san Pio da Pietrelcina (Francesco) Forgione, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che nel convento di San Giovanni Rotondo in Puglia si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i bisognosi e i poveri da concludere in questo giorno il suo pellegrinaggio terreno pienamente configurato a Cristo crocifisso. (dal Martirologio)
Francesco Forgione nacque il 25 maggio 1887 a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant’Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a san Francesco d’Assisi.
Il 27 settembre 1899 ricevette la comunione e la cresima dall’allora arcivescovo di Benevento Donato Maria dell’Olio. La madre era una donna molto credente e le sue convinzioni ebbero una grande influenza sulla formazione spirituale del futuro frate.
Secondo le testimonianze del tempo, il giovane Francesco Forgione cresceva tranquillo e sereno e mostrava indole obbediente.
Il giovane non frequentò le scuole in maniera regolare perché doveva rendersi utile in famiglia lavorando la terra. Solo quando ebbe dodici anni cominciò a studiare con metodo, sotto la guida del sacerdote Domenico Tizzani che, in un biennio, gli fece svolgere tutto il programma delle elementari. Subito dopo Francesco passò alla scuola per gli studi ginnasiali.
Il desiderio di diventare sacerdote si manifestò molto presto e fu sollecitato dalla conoscenza di un frate del convento di Morcone, Fra Camillo da Sant’Elia a Pianisi, che periodicamente passava per Pietrelcina a raccogliere offerte. Le pratiche per l’entrata in convento furono iniziate nella primavera del 1902, quando Francesco aveva 14 anni, ma la sua prima domanda ebbe esito negativo. Solo nell’autunno del 1902 arrivò l’assenso.
Francesco disse di aver avuto una visione, il 1º gennaio 1903 dopo la comunione, che gli preannunciava una continua lotta con Satana. La notte del 5 gennaio, l’ultima che passava con la sua famiglia, disse di aver avuto un’altra visione in cui Dio e Maria lo incoraggiavano assicurandogli la loro predilezione. Il 22 gennaio dello stesso anno, a 15 anni, Francesco vestì i panni di probazione del novizio cappuccino e diventò Pio.
Concluso l’anno del noviziato, Pio emise la professione dei voti semplici (povertà, castità e obbedienza) il 22 gennaio 1904. Tre giorni dopo si recò a Sant’Elia a Pianisi (CB) per intraprendervi gli studi ginnasiali.
Il 27 gennaio 1907 professò i voti solenni. Seguì gli studi classici e di filosofia e nel novembre 1908 raggiunse Montefusco, dove proseguì i suoi studi di teologia. Il 18 luglio 1909 ricevette l’ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone.
Fu ordinato presbitero il 10 agosto 1910 nel Duomo di Benevento, da mons. Paolo Schinosi; benché ancora ventitreenne e contrariamente alle disposizioni del diritto canonico, che all’epoca prevedevano un’età minima per l’ordinazione di 24 anni, in ragione delle gravi condizioni di salute di Forgione il vescovo stabilì un’eccezione e ordinò il giovane.
In tale periodo gli agiografi iniziano a parlare della comparsa sulle sue mani delle stimmate. Pio ne diede comunicazione per la prima volta l’8 settembre 1911, in una lettera indirizzata al padre spirituale di San Marco in Lamis: qui il frate racconta che il fenomeno andava ripetendosi da quasi un anno e che aveva taciuto perché vinto “sempre da quella maledetta vergogna”. Il 7 dicembre 1911 fece ritorno a Pietrelcina per ragioni di salute, restandovi, salvo qualche breve interruzione, sino al 17 febbraio 1916.
Il 10 ottobre dello stesso anno Pio rispose alle domande perentorie, rivoltegli da padre Agostino da San Marco in Lamis, affermando di aver ricevuto le stimmate, “visibili, specie in una mano” e che, pregando il Signore, il fenomeno era scomparso, ma non il dolore che rimaneva “acutissimo”; disse inoltre di subìre quasi ogni settimana, da alcuni anni, la coronazione di spine e la flagellazione.
Sempre nel 1915, il 6 novembre, fu chiamato alle armi e si presentò al distretto militare di Benevento. Il 6 dicembre fu assegnato alla decima compagnia sanità di Napoli. Svolse il servizio con molte licenze per motivi di salute sino a essere definitivamente riformato tre anni più tardi, a causa di una “broncoalveolite doppia”, il 16 marzo 1918, dall’ospedale principale di Napoli.
Il 17 febbraio 1916 Pio giunse a Foggia, restandovi sette mesi circa e dimorando nel convento di Sant’Anna. La sera del 28 luglio, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, Pio arrivò per la prima volta a San Giovanni Rotondo. Pur sentendosi meglio in tale luogo, dopo una settimana circa scese di nuovo a respirare l’aria afosa di Foggia, poiché il permesso chiesto al padre provinciale, anche se non necessario, tardava a venire.
In ragione di ciò il 13 agosto Pio scrisse al provinciale, chiedendo di poter “passare un po’ di tempo a San Giovanni Rotondo” anche perché, a suo dire, Gesù gli assicurava che là sarebbe stato meglio. Pio venne infine lasciato in tale convento, con l’ufficio di direttore spirituale del seminario serafico.
Nell’agosto 1918 Pio affermò di avere le prime visioni di un personaggio che lo trafiggeva con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (transverberazione). Poco tempo dopo, in seguito a una ulteriore visione, Pio affermò di aver ricevuto le stigmate.
L’inizio del manifestarsi delle stigmate risale al 1910, quando per la sua malattia il religioso aveva avuto il permesso di lasciare il convento e di vivere nella sua casa natale a Pietrelcina. Non distante dal paese, tutti i giorni dopo aver celebrato la Messa, si recava in una località detta Piana Romana, dove il fratello Michele aveva costruito per lui una capanna e dove aveva la possibilità di pregare e meditare all’aria aperta, che giovava molto ai suoi polmoni malati. Il fenomeno delle stigmate, come poi rivelò al suo confessore, cominciò a manifestarsi proprio in quel luogo, nel pomeriggio del 7 settembre 1910 e si manifestò con maggior intensità un anno dopo nel settembre 1911 e in quell’occasione il frate scrisse al suo direttore spirituale: “In mezzo al palmo delle mani è apparso un po’ di rosso, grande quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte e acuto dolore. Questo dolore è più sensibile alla mano sinistra. Anche sotto i piedi avverto un po’ di dolore”.
Nello stesso periodo cominciarono a circolare voci secondo le quali la sua persona aveva cominciato a emanare un inspiegabile profumo di gelsomino.
La notizia della comparsa delle stigmate fece il giro del mondo e repentinamente San Giovanni Rotondo fu meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie. Il merito di alcune conversioni e guarigioni inaspettate fu attribuito dai pellegrini all’intercessione del frate presso Dio. La popolarità di padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola e la località dovette cominciare ad attrezzarsi per l’accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore.
La situazione divenne imbarazzante per alcuni ambienti della Chiesa cattolica: il Vaticano infatti non aveva notizie precise su cosa stesse realmente accadendo. Un primo rapporto fu stilato dal Padre Generale dei cappuccini, il quale a sua volta aveva inviato il dottor Giorgio Festa, che propese per la soprannaturalità del fenomeno. Si commissionarono in seguito ulteriori indagini, molte delle quali condotte in incognito.
Il primo medico a studiare le stigmate di Padre Pio fu il professore Luigi Romanelli, primario dell’ospedale civile di Barletta, per ordine del padre superiore Provinciale, nei giorni 15 e 16 maggio 1919. Nella sua relazione fra le altre cose scrisse: “Le lesioni che presenta alle mani sono ricoperte da una membrana di colore rosso bruno, senza alcun punto sanguinante, niente edema e niente reazione infiammatoria nei tessuti circostanti. Ho la certezza che quelle ferite non sono superficiali perché, applicando il pollice nel palmo della mano e l’indice sul dorso e facendo pressione, si ha la percezione esatta del vuoto esistente”.
Due mesi dopo, il 26 luglio, arrivò a San Giovanni Rotondo il professore Amico Bignami, ordinario di patologia medica all’Università di Roma. Le sue considerazioni mediche non si discostarono da quelle del prof. Romanelli, in più però affermò che secondo lui quelle stigmate erano cominciate come prodotti patologici (necrosi neurotonica multipla della cute) ed erano state completate, forse inconsciamente per un fenomeno di suggestione, o con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio.
Nel 1920 padre Agostino Gemelli, medico, psicologo e consulente del Sant’Uffizio, fu incaricato dal cardinale Merry Del Val di visitare padre Pio ed eseguire “un esame clinico delle ferite”. Il Segretario del Sant’Uffizio scelse il Gemelli, è dato supporre, sia per le sue conoscenze scientifiche di altissimo livello, sia per i suoi studi specialistici sui “fenomeni mistici”, che aveva condotti sin dal 1913.
“Perciò – pur essendosi recato nel Gargano di propria iniziativa, senza che alcuna autorità ecclesiastica glielo avesse chiesto – Gemelli non esitò a fare della sua lettera privata al Sant’Uffizio una sorta di perizia ufficiosa su padre Pio”.
Il Gemelli volle invece esprimersi compiutamente in merito e volle incontrare il frate, nonostante una malcelata ritrosia di questi. Padre Pio, infatti, mostrò nei confronti del nuovo investigatore un atteggiamento di netta chiusura, non alleviando le polemiche, nonostante l’approccio iniziale del messo vaticano fosse stato di buona apertura sul piano personale.
Il frate rifiutò la visita adducendo che mancava l’autorizzazione scritta del Sant’Uffizio. Furono vane le proteste di padre Gemelli che, incaricato dal Sant’Uffizio e inviato di persona dal cardinal Merry Del Val riteneva di avere il diritto di effettuare un esame medico delle stigmate. Il frate, sostenuto dai suoi superiori, condizionò l’esame a un permesso da richiedersi per via gerarchica, disconoscendo le credenziali di padre Agostino Gemelli, che comunque era in missione ufficiale. Questi abbandonò dunque il convento, irritato e offeso.
Padre Gemelli espresse quindi un parere negativo, attribuendo le stigmate a una patologia di tipo isterico; i suoi giudizi, che come si è visto non potevano contare su un esame clinico rifiutatogli, avrebbero pur tuttavia pesantemente condizionato per l’autorevolezza della fonte la vicenda del frate.
Come risultato di questa vicenda, il 31 maggio 1923, arrivò un decreto vero e proprio in cui si pronunciava la condanna esplicita. Il Sant’Uffizio dichiarava il non constat de supernaturalitate circa i fatti legati alla vita di padre Pio, ed esortava i fedeli a non credere e a non andare a San Giovanni Rotondo. La formula specifica utilizzata, nel linguaggio ecclesiastico, equivale ad asserire che al momento non sono stati evidenziati elementi sufficienti ad affermare la soprannaturalità dei fenomeni e perciò non esclude che possano esserlo in futuro[18]. Il decreto venne pubblicato dall’Osservatore Romano, organo di stampa del Vaticano, il 5 luglio successivo e subito ripreso dai giornali di tutto il mondo.
Il 15 dicembre 1924 il dottor Giorgio Festa, chiese alle autorità ecclesiastiche l’autorizzazione a sottoporre il Padre a un nuovo esame clinico per uno studio ulteriore e più aggiornato, ma non l’ottenne.
L’inchiesta sul frate si chiuse con l’arrivo del quinto e definitivo decreto di condanna (23 maggio 1931) con l’invito ai fedeli di non considerare come sovrannaturali le manifestazioni psichiatriche certificate dal Gemelli, ma i più fedeli sostenitori di Padre Pio non considerano il divieto di Roma vincolante. A Padre Pio venne vietata la celebrazione della messa in pubblico e l’esercizio della confessione.
Nel 1933 papa Pio XI revocò le restrizioni precedentemente imposte a padre Pio. C’è però chi sostiene che, formalmente, il decreto ufficiale di sconfessione di padre Pio non sarebbe mai stato revocato. Infatti il Sant’Uffizio non ritrattò i suoi decreti e, ufficialmente, padre Pio continuò a essere condannato dalla Chiesa. A San Giovanni Rotondo accorrevano comunque gente comune, ma anche personaggi famosi. Nel 1938 arrivò Maria José di Savoia che volle farsi fotografare accanto a padre Pio. Giunsero i reali di Spagna, la regina del Portogallo in esilio, Maria Antonia di Borbone, Zita di Borbone-Parma, Giovanna di Savoia Ludovico di Borbone Parma, Eugenio di Savoia e tanti altri.
Nel 1950 il numero di persone, in particolare donne, che si volevano confessare era talmente imponente, che venne organizzato un sistema di prenotazioni. Il 9 gennaio 1940 iniziò la costruzione del grande ospedale Casa Sollievo della Sofferenza con le offerte dei fedeli provenienti da tutto il mondo.
Papa Giovanni XXIII ordinò ulteriori indagini su padre Pio, inviando monsignor Carlo Maccari: nello spirito del Concilio Vaticano II si voleva intervenire con decisione verso forme di fede popolare considerate arcaiche. All’inizio dell’estate 1960, papa Giovanni fu informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto di alcune bobine audio registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assumeva informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si era appuntato i nomi di tre fedelissime: Cleonice Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci”, più una misteriosa contessa. Il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino al 2007 e rivelati da Sergio Luzzatto: “Stamane da mgr. Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giovanni Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto”.
“Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi a una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia a una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare e per cui prego intensamente”. “L’accaduto-cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur [se sono vere le cose riferite], dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona- fa pensare a un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti”.
“Motivo di tranquillità spirituale per me e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili”. I sospetti di papa Giovanni XXIII, che non aveva ascoltato le bobine (si vera sunt quae referentur), vennero comunque fugati l’anno seguente dall’arcivescovo di Manfredonia, monsignor Andrea Cesarano:
« “Che mi racconti di Padre Pio?” “Santità…” “Non chiamarmi santità – lo interruppe – “chiamami don Angelo come hai sempre fatto. Dimmi di lui!” “Padre Pio è sempre l’uomo di Dio che ho conosciuto all’inizio del mio trasferimento a Manfredonia. È un apostolo che fa alle anime un bene immenso”. “Don Andrea, adesso si dice tanto male di Padre Pio”. “Ma per carità, don Angelo. Sono tutte calunnie. Padre Pio lo conosco sin dal 1933 e t’assicuro che è sempre un uomo di Dio. Un santo”. “Don Andrea, sono i suoi fratelli che l’accusano. E poi… quelle donne, quelle registrazioni… Hanno perfino inciso i baci”. Poi il Santo Padre tacque per l’angustia e il turbamento. Monsignor Cesarano, con un fremito che gli attraversava l’anima e il corpo, tentò di spiegare: “Per carità, non si tratta di baci peccaminosi. Posso spiegarti cosa succede quando accompagno mia sorella da Padre Pio?” “Dimmi”. E monsignor Cesarano raccontò al Santo Padre che quando sua sorella incontrava Padre Pio e riusciva a prendergli la mano, gliela baciava e ribaciava, tenendola ben stretta, malgrado le vive rimostranze nel timore di sentire un ulteriore male per via delle stigmate. Il buon Papa Giovanni alzò lo sguardo al cielo ed esclamò: “Sia lodato Dio! Che conforto che mi hai dato. Che sollievo!»
In quel periodo il superiore locale di padre Pio era padre Rosario da Aliminusa (al secolo Francesco Pasquale, 1914-1983), che ricopriva l’incarico di guardiano della comunità di san Giovanni Rotondo; Aliminusa, fermo custode delle regole dell’ordine[22], in diversi scritti testimoniò che padre Pio non venne mai meno ai suoi doveri d’obbedienza[22]; ne mise inoltre in risalto il rigore teologico.
Nel 1964, il nuovo Papa Paolo VI concesse personalmente ma ufficiosamente a Padre Pio da Pietrelcina l’Indulto (reintegro) per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa secondo il rito di San Pio V, sebbene, dalla Quaresima del 1965 fosse in attuazione la riforma liturgica. Contemporaneamente, molteplici attività finanziare gestite da Padre Pio passarono in gestione alla Santa Sede.
L’Aliminusa, inoltre, in relazione alla nomina – da parte della Santa Sede – di padre Clemente da Santa Maria in Punta quale amministratore apostolico destinato a gestire la situazione giuridico-economica dei beni della Casa Sollievo della Sofferenza, fu nominato procuratore generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, una delle massime cariche dell’ordine, incaricato, per la funzione, di mantenere i rapporti tra l’Ordine e la Santa Sede, cosa questa che favorì una ricomposizione della frizione che stava insorgendo in relazione alla gestione dei beni e delle donazioni: padre Pio istituì nel suo testamento la Santa Sede quale legataria di tutti i beni della Casa Sollievo della Sofferenza.
Il 23 settembre 1968 Padre Pio morì all’età di 81 anni. Ai suoi funerali parteciparono più di centomila persone giunte da ogni parte d’Italia. Le pratiche giuridiche preliminari del processo di beatificazione iniziarono un anno dopo la morte del Padre, nel 1969, ma incontrarono molti ostacoli, da parte di coloro che erano stati nemici dichiarati di Padre Pio. Furono ascoltati decine di testimoni e raccolti 104 volumi di disposizioni e documenti e nel 1979 tutto il materiale fu inviato a Roma al vaglio degli esperti del Papa. Il procedimento che portò alla canonizzazione ebbe inizio con il nihil obstat del 29 novembre 1982.
Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione. Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile, fu beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno 2002 in piazza San Pietro da papa Giovanni Paolo II come san Pio da Pietrelcina. La sua festa liturgica viene celebrata il 23 settembre.
Tra i segni miracolosi che gli vengono attribuiti troviamo le “stigmate” che portò per 50 anni (20 settembre 1918 – 23 settembre 1968), il dono della bilocazione e della capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone. Tra i molti miracoli che gli vengono attribuiti c’è quello della guarigione del piccolo Matteo Pio Colella di San Giovanni Rotondo, sul quale è stato celebrato il processo canonico che ha portato poi alla elevazione agli altari di San Pio.
Tra i racconti di bilocazione che lo avrebbero visto protagonista c’è quello fornito da San Luigi Orione, secondo il quale nel 1925, mentre si trovava in piazza San Pietro per i festeggiamenti in onore di Santa Teresa di Lisieux, gli sarebbe apparso inaspettatamente Padre Pio da Pietrelcina, che in realtà non si mosse mai dal convento che lo ospitava dal 1918 sino alla morte.
In generale, ai fini della canonizzazione, la Chiesa cattolica ritiene necessario un secondo miracolo, dopo quello richiesto per la beatificazione: nel caso di Padre Pio, ha ritenuto miracolosa la guarigione di Matteo Pio Colella, un bambino di sette anni nato a San Giovanni Rotondo.
Il 20 gennaio 2000, mentre era a scuola, Matteo si sentì male: fu portato a casa, ma nella serata la situazione precipitò e il padre, urologo dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, lo accompagnò al pronto soccorso dello stesso ospedale, dove fu diagnosticata una meningite fulminante.
Ricoverato in rianimazione, il 21 gennaio Matteo ebbe un edema polmonare e non si riusciva più a rilevare la pressione arteriosa; successivamente collassarono nove organi; i medici emisero una diagnosi infausta, non essendo compatibile con la vita la compromissione di più di cinque organi, secondo la casistica riportata nella letteratura medica internazionale.
In favore del bambino si sviluppò una catena di preghiere rivolte a Padre Pio, a cominciare dai genitori, devoti del frate. La madre riferì di aver avuto una visione di Padre Pio e la stessa cosa riferì Matteo una volta uscito dal coma. Contrariamente alle previsioni, il bambino cominciò a migliorare e il 25 febbraio fu dimesso. Dopo un altro mese di terapie riabilitative potè riprendere la scuola, con un successivo completo recupero psico-fisico.
La Consulta medica della Congregazione per le Cause dei Santi, il 22 novembre 2001, dichiarò che “La guarigione, rapida, completa e duratura, senza postumi, era scientificamente inspiegabile”. Il decreto sul miracolo fu promulgato il 20 dicembre 2001 alla presenza di Giovanni Paolo II, che procedette alla canonizzazione il 16 giugno 2002.
Altri Santi che la Chiesa commemora il 23 settembre
Santi Zaccaria ed Elisabetta – Commemorazione dei santi Zaccaria ed Elisabetta, genitori di san Giovanni Battista, Precursore del Signore. Elisabetta, accogliendo in casa sua Maria, sua parente, piena di Spirito Santo, salutò la Madre del Signore benedetta tra le donne; Zaccaria, sacerdote, pieno di spirito profetico, alla nascita del figlio, lodò Dio redentore e predisse il prossimo avvento di Cristo, che verrà dall’alto come sole che sorge. (dal Martirologio)
San Lino, papa – A Roma, commemorazione di san Lino, papa, al quale, come scrive sant’Ireneo, i beati Apostoli affidarono la cura episcopale della Chiesa fondata a Roma e che san Paolo Apostolo ricorda come suo compagno. (dal Martirologio)
San Sossio, diacono e martire – A Capo Miseno in Campania, san Sossio, diacono e martire, che, come riferisce il papa san Simmaco, desiderando sottrarre il suo vescovo alla morte, trovò invece inseme a lui la morte, ottenendo a ugual prezzo ugual gloria. (dal Martirologio)
San Costanzo – Ad Ancona, commemorazione di san Costanzo, che, mansionario della chiesa, rifulse più per l’umiltà che per il dono dei miracoli. (dal Martirologio)
San Adamnano, sacerdote e abate – Nell’isola di Iona in Scozia, san Adamnano, sacerdote e abate: ottimo conoscitore delle Scritture e instancabile amante dell’unità e della pace, con la sua predicazione persuase molti sia in Scozia sia in Irlanda a celebrare la Pasqua secondo la consuetudine romana. (dal Martirologio)
Santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio, martiri – In Africa, santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio, martiri, che, catturati a Siracusa, furono deportati dai Mori e sottoposti a supplizi. (dal Martirologio)
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