21 febbraio: San Pier Damiani, vescovo e dottore della Chiesa
La Chiesa oggi commemora un grande riformatore della Chiesa del suo tempo, autore di importanti scritti liturgici, teologici e morali

San Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia e dottore della Chiesa: entrato nell’eremo di Fonte Avellana, promosse con forza la disciplina regolare e, in tempi difficili per favorire la riforma della Chiesa, richiamò con fermezza i monaci alla santità della contemplazione, i chierici all’integrità di vita, il popolo alla comunione con la Sede Apostolica. (dal Martirologio)
Fonte principale per la ricostruzione della sua vita è la biografia realizzata dal discepolo prediletto Giovanni da Lodi, monaco suo segretario personale poi divenuto priore di Fonte Avellana e quindi vescovo di Gubbio. Numerosi accenni autobiografici sono poi rinvenibili tra le sue molte lettere.
Pietro nacque a Ravenna tra la fine del 1006 o più probabilmente l’inizio del 1007. Se ne conosce con relativa precisione l’anno di nascita, fatto piuttosto raro per quei tempi, perché egli stesso riferisce in una delle sue numerose lettere di essere nato 5 anni dopo la morte dell’imperatore Ottone III.
La sua famiglia era probabilmente, o era stata, di illustri origini, ma quando nacque Pietro non era di condizione agiata. Era l’ultimo nato di molti fratelli: Damiano, arciprete e poi monaco, un anonimo fratello malvagio, Marino, Rodelinda, la sorella primogenita, Sufficia e un’altra sorella anonima.
Rimase orfano di entrambi i genitori in giovanissima età. Fu allevato dapprima dalla sorella Rodelinda. Poi lo accolse in casa il fratello cattivo del quale non conosciamo il nome che lo costrinse a durissimi servizi e lo maltrattò. In quel periodo trovò per caso una moneta e la consegnò a un presbitero per celebrare una messa di suffragio per il padre defunto.
Lasciò poi la casa del fratello cattivo e venne accolto dal fratello Damiano, arciprete. Probabilmente per riconoscenza verso questo fratello Pietro aggiungerà al suo nome Damiani, cioè di Damiano, che non va inteso dunque come patronimico.
Il fratello Damiano, arciprete di una grossa pieve presso Ravenna, si occupò non solo del mantenimento, ma anche di fornire un’educazione al fratello Pietro, cosa rara per quei tempi. Lo inviò allora a Faenza, sede di una scuola presumibilmente migliore di quelle disponibili allora a Ravenna, forse anche con l’intento di allontanarlo dal fratello malvagio. Non ci è dato sapere in quale delle scuole faentine esistenti allora abbia studiato: presso la Cattedrale, o il monastero di Santa Maria Foris Portam, o il monastero dei Santi Lorenzo e Ippolito. Rimase a Faenza 4 anni, dal 1022 al 1025, tra i 15-18 anni.
Terminati gli studi a Faenza si spostò a Parma, inviato dal fratello o di sua iniziativa, per studiare le arti liberali, cioè trivio e quadrivio. Rimase a Parma negli anni 1026-1032, tra i 19-25 anni.
Terminati gli studi a Parma tornò a Ravenna dove intraprese la carriera di insegnante, che lo occupò probabilmente dal 1032 al 1035, fino a circa 28 anni. Divenne un rinomato maestro di arti liberali, con molti allievi e dunque con una notevole fama e agiatezza economica. È probabile che fosse anche chierico, forse diacono o rivestito di un altro ordine minore, cosa allora comune per i maestri. L’ordinazione presbiterale, che sappiamo ricevette da un arcivescovo, forse è da collocare contemporaneamente al suo insegnamento a Ravenna, ossia tra il 1034 e il 35 a opera dell’arcivescovo Gebeardo di Eichstätt (1027-1044).
Durante l’insegnamento maturò progressivamente l’idea di dedicarsi alla vita monastica. Mantenendo immutato lo stile di vita a stretto contatto con la società, cominciò a vivere interiormente come un monaco: sotto le vesti indossava il cilicio, moltiplicava preghiere, veglie, digiuni e opere di carità.
Secondo un racconto dello stesso Pier Damiani, un fatto preciso lo incoraggiò ad abbracciare la vita monastica vera e propria. Solitamente invitava a mensa alcuni poveri. Un giorno si trovò solo con un cieco e gli offrì del pane scuro, di qualità peggiore, tenendo per sé un pane bianco. Una lisca di pesce si conficcò nella sua gola, rischiando di soffocarlo. Interpretò l’incidente come una giusta punizione per l’episodio egoista e prontamente offrì al cieco il pane migliore. Immediatamente la lisca scivolò in gola senza fargli alcun male.
L’ingresso nella vita monastica avvenne quando, probabilmente nel 1035, all’età di 28 anni, conobbe a Ravenna due eremiti di Fonte Avellana, eremo fondato dal ravennate san Romualdo. Attratto dalla loro umile e composta modestia, li seguì nel loro eremo e vi si fece monaco camaldolese.
A Fonte Avellana, complice il suo passato di maestro, gli venne chiesto di istruire i suoi fratelli in campo religioso ed esortarli alla vita monastica.
In seguito, probabilmente nel 1040, l’abate di Pomposa, Guido, chiese al priore di Fonte Avellana di inviargli Pier Damiani, verosimilmente avendone già conosciuta la fama che lo circondava a Ravenna, per istruire la sua comunità. Pietro vi rimase circa due anni, tra il 1040 e il 1042.
Nel 1042, per ordine del suo priore di Fonte Avellana, passò da Pomposa al monastero di san Vincenzo al Furlo (presso Urbino), per riformarne la disciplina secondo la riforma romualdina. Qui scrisse la Vita beati Romualdi attingendo alle notizie dirette di chi aveva personalmente conosciuto il monaco anacoreta. Qui incontrò (e talvolta si scontrò) con alcuni potenti nobili del tempo, come il marchese Bonifacio di Toscana o la dinastia dei Canossa.
A fine 1043, in occasione della morte del priore Guido, ritornò a Fonte Avellana dove venne eletto dai suoi confratelli (circa venti monaci) come suo successore. Rimase priore per 14 anni, fino al 1057.
Durante il suo priorato si adoperò nell’organizzazione e nella promozione della vita eremitica a vari livelli. Si preoccupò di attuare gli ideali monastici nel suo monastero, attento al contempo a curarne il patrimonio economico, che in quegli anni prosperò, curando anche l’ampliamento e la ristrutturazione di edifici esistenti e costruendone di nuovi. Curò in particolare la biblioteca dell’eremo.
Fondò, o comunque riorganizzò all’interno della famiglia monastica di Fonte Avellana, diversi eremi e monasteri nel centro Italia. Intrattenne, inoltre, una notevole corrispondenza con i principali monasteri del centro Italia dell’epoca.
Oltre a adoperarsi nell’ambito monastico, fu uno dei principali e zelanti attuatori della riforma gregoriana della Chiesa. Si recò in molte diocesi (tra cui Urbino, Assisi e Gubbio) per esortarne o rimproverarne i vescovi. In alcuni casi fece pressione sul Papa per far rimuovere vescovi indegni o simoniaci come a Pesaro, Fano, Osimo e Città di Castello.
Nel 1046 assistette all’incoronazione dell’imperatore Enrico III a Roma ed entrò in contatto con l’ambiente di corte. I contatti avuti in seguito con la casa imperiale furono numerosi e cordialissimi; si recò più volte in Germania e l’imperatrice Agnese fu sua penitente.
Nel 1047 era presente al sinodo romano, celebrato alla presenza dell’imperatore e presieduto dal Papa, per contrastare il problema della simonia. Partecipò anche ai sinodi romani del 1049, 1050, 1051, 1053. Nel 1049 compose il Liber gomorrhianus, trattante i peccati contro natura.
Col pontificato di papa Leone IX (1049-1054) si estende l’orizzonte d’azione riformatrice del santo. Ebbe un ruolo attivo anche nel tentativo di trattenere Enrico IV dal divorzio con Berta. Dal 1050 in poi, Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla riforma ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore. Questo Papa lo nominò priore del convento di Ocri. La sua collaborazione proseguì con i successivi papati di Stefano IX, Niccolò II e di Alessandro II.
Nell’agosto-novembre 1057 o il 14 marzo 1058, Papa Stefano IX lo nominò cardinale e vescovo di Ostia, ossia uno dei sette cardinali lateranensi a più stretto contatto col Papa. Stando ai suoi scritti, Pier Damiani non accolse la nomina con favore: si sentiva portato alla vita eremitica implicante solitudine, silenzio, penitenza, preghiera. Si trasferì a Roma, a stretto contatto col Papa e la corte pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano.
Dal 1050 in poi, Pier Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla riforma ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore. Questo Papa lo nominò priore del convento di Ocri. La sua collaborazione proseguì con i successivi papati di Stefano IX, Niccolò II e di Alessandro II.
Pier Damiani operò la sua azione riformatrice in diversi modi: si adoperò affinché il potere politico fosse privato delle connotazioni sacrali che progressivamente aveva assunto (e che avevano portato alla prassi comunemente accettata della compravendita della cariche ecclesiastiche, pratica contestata dall’autorità ecclesiastica, che passerà alla storia con il nome della Lotta per le investiture). Egli mise in risalto l’autorità del Papa, fulcro centrale della vita ecclesiale (da un lato per sottrarre i vescovi all’autorità dell’imperatore, dall’altro per non lasciarli sciolti da ogni istanza superiore, come invece pretendeva la corrente detta episcopalismo). Cercò di riformare la vita dei chierici, combattendo il nicolaismo (interpretazione lassista del celibato ecclesiastico) e proponendo come modello la vita monastica.
Nel novembre 1059 Niccolò II inviò Pier Damiani a Milano. In quella città lo scandalo della compravendita delle cariche religiose (simonia) era sotto gli occhi di tutti. Il concubinato dei sacerdoti era prassi corrente, come era noto il comportamento licenzioso di molti religiosi. Le riforme avviate dal papato trovarono nella chiesa ambrosiana una forte opposizione.
La chiesa ambrosiana rivendicava la sua autonomia e la sua particolarità. In controtendenza un gruppo di sacerdoti e diaconi tra cui il lucchese Anselmo da Baggio, sant’Arialdo e i fratelli Landolfo Cotta e Erlembaldo formarono un movimento che gli oppositori soprannominarono Patarìa, da patée che in dialetto milanese significa venditori di cianfrusaglie, sinonimo di straccione.
Questo movimento si scagliava contro il concubinato del clero e contro i privilegi della Chiesa e non solo della Chiesa. I vescovi ambrosiani scomunicarono alcuni membri di questo movimento e provocarono l’intervento del papato per ristabilire l’ordine e l’obbedienza. Prima di Pietro Damiani, si erano recati a Milano nel 1057 Anselmo da Lucca e il monaco Ildebrando da Soana (futuro papa Gregorio VII).
San Pier Damiani riunì tutto il clero in cattedrale e, richiamata l’autorità del papa, riuscì a strappare un accordo di accettazione del celibato del clero. Le tensioni rimasero comunque alte e dopo la morte di papa Niccolò II le dispute ripresero e sfociarono nel 1066 nell’uccisione da parte di due sacerdoti di Sant’Arialdo.
Altre legazioni furono svolte da Damiani a Cluny in Francia (giugno-ottobre 1063), Firenze, Mantova, Ravenna sua città natale e in numerose altre località dell’Italia centrale. Nel 1069 ebbe un ruolo di primo piano nel Concilio di Magonza, che riuscì a trattenere Enrico IV dal divorziare con Berta.
Pier Damiani continuò a non amare la vita di curia e continuamente chiedeva al papa di permettergli di ritornare al chiostro: solo nel 1062 ottenne soddisfazione e poté rientrare in convento rinunciando a tutte le sue cariche. La vita monastica da lui praticata a Fonte Avellana, e diffusa altrove, era tra le più dure conosciute dal monachesimo occidentale: disciplina corporale, penitenze varie, quantità minime di cibo e lavoro manuale (egli stesso dichiara di essere stato particolarmente abile nella produzione di cucchiai di legno).
Morì il 21 febbraio 1072 a Faenza, verosimilmente in viaggio da Ravenna verso l’eremo di Gamogna, uno dei tanti da lui fondati. Trovò dapprima sepoltura nella chiesa di Santa Maria foris portam (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia). In seguito i suoi resti furono traslati nella cattedrale di Faenza, dove sono tutt’ora venerati.
Da una recente ricognizione medica sono emerse grosse calcificazioni nelle ossa delle ginocchia, che attestano la sua vita penitente. Queste sono le parole da lui scritte per i visitatori del suo sepolcro:
«Io fui nel mondo quel che tu sei ora; tu sarai quel che io ora sono:
non prestar fede alle cose che vedi destinate a perire;
sono segni frivoli che precedono la verità, sono brevi momenti cui segue l’eternità.
Vivi pensando alla morte perché tu possa vivere in eterno.
Tutto ciò che è presente, passa; resta invece quel che si avvicina.
Come ha ben provveduto chi ti ha lasciato, o mondo malvagio,
chi è morto prima col corpo alla carne che non con la carne al mondo!
Preferisci le cose celesti alle terrene, le eterne alle caduche.
L’anima libera torni al suo principio;
lo spirito salga in alto e torni a quella fonte da cui è scaturito,
disprezzi sotto di sé ciò che lo costringe in basso.
Ricordati di me, te ne prego; guarda pietoso le ceneri di Pietro;
con preghiere e gemiti dì: “Signore, perdonalo”» (Pietro Peccatore)
Altri Santi che la Chiesa commemora il 21 febbraio
Sant’Eustazio, vescovo – Commemorazione di sant’Eustazio, vescovo di Antiochia, che, illustre per dottrina, sotto l’imperatore ariano Costanzo fu mandato in esilio a Tuzla in Tracia per aver difeso la fede cattolica e qui riposò nel Signore. (dal Martirologio)
San Germano, abate – Nel monastero di Grandfelt nell’odierna Svizzera, san Germano, abate, che, avendo voluto difendere con parole di pace gli abitanti dei dintorni del monastero assaliti da una banda di predatori, morì insieme al santo monaco Randoaldo spogliato delle vesti e trafitto da una lancia. (dal Martirologio)
San Roberto Southwell, sacerdote – Sempre a Londra, san Roberto Southwell, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che svolse per molti anni il suo ministero in questa città e nella regione limitrofa e compose inni spirituali; arrestato per il suo sacerdozio, per ordine della stessa regina fu torturato con grande crudeltà e a Tyburn coronò il suo martirio con l’impiccagione. (dal Martirologio)
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