17 settembre: San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa

La Chiesa oggi commemora un arcivescovo, cardinale e teologo italiano, appartenente alla Compagnia di Gesù

San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede. (dal Martirologio)

Era figlio di Vincenzo Bellarmino, magistrato e gonfaloniere di Montepulciano e di Cinzia Cervini, sorella del papa Marcello II, molto pia e religiosa.

Nacque in una famiglia numerosa, terzogenito di cinque figli; di nobili origini poliziane, sia per parte paterna che materna, ma in via di declino economico. Fu battezzato dal cardinale fiorentino Roberto Pucci al quale probabilmente deve l’onore del suo primo nome, mentre il secondo è in riferimento a San Francesco d’Assisi, il santo onorato il 4 ottobre giorno della sua nascita; Romolo fu dato in onore di un antenato della famiglia.

Fin da piccolo ebbe una salute precaria e una forte vocazione religiosa. Dopo una iniziale educazione in famiglia, fu inviato per gli studi, insieme al cugino Ricciardo Bellarmino, a Padova secondo il desiderio del padre e con il permesso di Cosimo I granduca di Toscana come era obbligo a quel tempo, per chi volesse in età molto giovane studiare fuori del granducato di Toscana. A diciotto anni, proseguendo con questa sua vocazione al sacerdozio, e affascinato dalla figura di Sant’Ignazio di Loyola, al carisma del quale legò poi tutta la sua vita, decise di far parte della Compagnia di Gesù. Insieme al cugino Ricciardo che condivise queste aspirazioni giovanili, ma che morì quattro anni dopo, entrò nel Collegio Romano il 20 settembre 1560 e il giorno dopo fece la sua prima professione religiosa; tutto questo però solo dopo che suo padre concesse il permesso a seguito delle pressioni materne, poiché egli avrebbe preferito, per suo figlio, una carriera politica laica.

Nonostante la sua parentela con papa Marcello II, si dimostrò sempre umile e studioso, tanto da essere in breve tempo elogiato da tutti coloro che lo conoscevano.

Fin da giovanissimo mostrò le sue ottime doti letterarie e ispirandosi agli autori latini come Virgilio, compose diversi piccoli poemi sia in lingua volgare che in lingua latina. Uno dei suoi inni, dedicato alla figura di Maria Maddalena, fu inserito poi per l’uso nel breviario.

Studiò nel Collegio Romano dal 1560 al 1563 e fu condiscepolo di Cristoforo Clavio. Iniziò successivamente a insegnare materie umanistiche prima a Firenze e poi a Mondovì, sempre in scuole del suo ordine religioso. In questa cittadina piemontese, si distinse come predicatore, nonostante non fosse ancora Ordinato presbitero e si applicò allo studio del greco.

Nel 1567 iniziò a studiare in modo sistematico teologia a Padova, dove approfondì la teologia di San Tommaso d’Aquino. Dopo aver visitato Genova per un incontro di confratelli, avendo dimostrato ottime qualità di predicatore, fu inviato nel 1569 da San Francesco Borgia Preposito Generale dell’Ordine dei Gesuiti, a Lovanio nelle Fiandre, allora facente parte dei Paesi Bassi spagnoli; qui aveva sede una delle migliori università cattoliche e il giovane Bellarmino vi completò gli studi teologici, trovando inoltre l’ambiente adatto per acquisire una notevole conoscenza sulle eresie più importanti del suo tempo.

Dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta a Gand il 25 marzo 1570, Domenica delle Palme, guadagnò rapidamente notorietà sia come insegnante sia come predicatore; in quest’ultima veste era capace di attirare al suo pulpito sia cattolici che protestanti, persino da altre aree geografiche.

Gli fu conferito l’insegnamento della teologia a Lovanio nel 1570 e qui rimase per sei anni, fino al 1576. Distintosi in questi anni per la sua dotta eloquenza e sorprendente capacità di controbattere efficacemente le tesi calviniste, che si diffondevano ampiamente nei Paesi Bassi spagnoli, fu richiamato a Roma da papa Gregorio XIII che gli affidò la cattedra di “Controversie”, cioè di Apologetica, da poco istituita nel Collegio Romano, attività che svolse fino al 1587. Da poco tempo si era concluso il Concilio di Trento e la Chiesa cattolica, attaccata dalla Riforma protestante aveva necessità di rinsaldare e confermare la propria identità culturale e spirituale. L’attività e le opere di Roberto Bellarmino si inserirono proprio in questo contesto storico della Controriforma. Egli si dimostrò adeguato alle difficoltà del compito. Gli studi che intraprese per applicarsi nell’insegnamento e nelle lezioni, confluirono successivamente nella sua grande e più famosa opera di più volumi: Le controversie, cioè “Disputationes de controversiis christianae fidei adversus hujus temporis haereticos”.

Questa monumentale opera teologica rappresenta il primo tentativo di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, ed ebbe un’enorme risonanza in tutta Europa; senza sviluppare nessuna aggressione polemica nei confronti della Riforma ma solo usando gli argomenti della ragione e della tradizione, Bellarmino espose in modo chiaro ed efficace le posizioni della Chiesa cattolica.

Presso le chiese protestanti in Germania e in Inghilterra furono istituite specifiche cattedre d’insegnamento per tentare di fornire una replica razionale agli argomenti dell’ortodossia cattolica difesi da Bellarmino.

A tutt’oggi non esiste altra opera di tale completezza nel campo apologetico anche se, come si può facilmente intuire, l’avanzamento degli studi critici ha diminuito il valore di alcuni degli argomenti storici. L’instancabile azione di Bellarmino a difesa della fede cattolica, gli valse l’appellativo di “martello degli eretici”.

Nel 1588 Roberto Bellarmino fu nominato direttore spirituale del Collegio Romano. In questo periodo collaborò intensamente con l’autorevole papa Sisto V nella riedizione di tutte le opere di Sant’Ambrogio, anche se non sempre ben compreso dal pontefice. Sembra che Sisto V non avesse simpatie per l’Ordine dei Gesuiti e per lo stesso Bellarmino. Nel 1590 fu inviato e qualcuno suppone per essere allontanato da Roma, con la legazione guidata dal cardinal legato Enrico Caetani che papa Sisto V aveva inviato in Francia per difendere la Chiesa cattolica nelle difficoltà scaturite dalla guerra civile tra cattolici ed ugonotti subito dopo l’assassinio del re Enrico III.

Mentre si trovava in Francia fu raggiunto dalla notizia che Sisto V, che aveva in precedenza calorosamente accettato la dedica della sua opera “Le controversie”, stava ora per proporre di metterne il primo volume all’Indice.

Il motivo era che nell’opera si riconosceva alla Santa Sede un potere indiretto e non diretto sulle realtà temporali; Bellarmino, la cui fedeltà alla Santa Sede era intensa e autentica, ne fu profondamente amareggiato.

Tale imminente condanna fu evitata solo per l’improvvisa morte di Sisto V il 27 agosto 1590, a seguito di complicanze di una malattia infettiva, forse malaria. Tale malattia infettiva colpì Roma in quel periodo molto pesantemente causando molti decessi. Anche il pontefice successivo, Urbano VII, morì per la stessa malattia dopo pochi giorni dall’elezione pontificia. Circa “Le controversie” invece il nuovo papa Gregorio XIV fu francamente entusiasta di quest’opera, tanto che concesse a essa, persino l’onore di una speciale approvazione pontificia.

Quando la missione del cardinale Enrico Caetani era oramai al termine, Bellarmino riprese nuovamente il suo lavoro come insegnante e direttore spirituale. Ebbe la consolazione di guidare negli ultimi anni della sua vita san Luigi Gonzaga, che morì appena 23enne al Collegio Romano nel 1591 dopo aver contratto un male per salvare un uomo affetto da peste e abbandonato per strada. Bellarmino assistette Luigi Gonzaga fino al trapasso; e di lui negli anni successivi egli stesso ne promosse il processo di beatificazione presso la Santa Sede. Si augurò inoltre di poter avere la propria tomba vicino a quella del giovane e grande gesuita; cosa che effettivamente si realizzò.

In questo periodo egli fece parte della commissione finale per la revisione del testo della Vulgata.

Questa revisione era stata oggetto di una specifica richiesta del concilio di Trento, per controbattere le tesi protestanti i papi post-tridentini avevano operato per questo compito alacremente, portandolo quasi a realizzazione completa.

Sisto V per quanto non dotato di competenze specifiche in materia biblica, aveva introdotto delle modifiche al Sacro Testo in modo eccessivamente leggero e rapido, con vistosi errori.

Per accelerare i tempi aveva comunque fatto stampare questa edizione e in parte la fece distribuire con il proposito di imporne l’uso con una sua bolla.

Tuttavia morì prima della promulgazione ufficiale e i suoi immediati successori procedettero subito a togliere dalla circolazione l’edizione errata. Il problema consisteva nell’introdurre un’edizione più corretta senza però screditare inutilmente il nome di Sisto V. Bellarmino propose che la nuova edizione dovesse portare sempre il nome di Sisto V, con una spiegazione introduttiva secondo la quale, a motivo di alcuni errori tipografici o di altro genere, già papa Sisto aveva deciso che una nuova edizione dovesse essere intrapresa.

La sua dichiarazione, dal momento che non c’era prova contraria, dovette essere considerata come risolutiva, tenendo conto di quanto serio e responsabile egli fosse stimato dai suoi contemporanei.

In tal modo la nuova edizione corretta non poteva essere rifiutata in quanto non macchiava la reputazione dei membri della commissione preposta alla nuova stesura, i quali accolsero il suggerimento di Bellarmino. Lo stesso pontefice Clemente VIII, si trovò pienamente d’accordo con tale risoluzione e concesse il suo imprimatur alla prefazione del Bellarmino nella nuova edizione.

Nel 1592 Bellarmino divenne Rettore del Collegio Romano, incarico che svolse per circa due anni fino al 1594. Nel 1595 divenne Preposito dell’Ordine gesuita per la provincia di Napoli.

Nel 1597 papa Clemente VIII lo richiamò a Roma dopo la morte nel settembre 1596 del suo consultore teologo pontificio il cardinale gesuita Francisco de Toledo Herrera. Bellarmino fu allora nominato consultore teologo, oltre che esaminatore per la nomina dei Vescovi, consultore del Sant’Uffizio e teologo della sacra Penitenzieria.

Sempre nel 1597, dopo la morte del duca Alfonso II d’Este, non avendo questi eredi e con l’appoggio del re francese Enrico IV, lo Stato della Chiesa rientrò in possesso dei territori del ducato di Ferrara. In tale occasione Bellarmino accompagnò il papa in visita al ducato, nuovo territorio dello Stato della Chiesa.

Nel concistoro del 3 marzo 1599 il papa lo fece cardinale presbitero e il 17 marzo gli consegnò la berretta rossa con il titolo di Santa Maria in Via, indicando la motivazione di questa nomina con le parole: La Chiesa di Dio non ha un soggetto di pari valore nell’ambito della scienza. Si racconta che Bellarmino tentò in tutti i modi di far cambiare idea al papa, non volendo ricevere questa carica, ma il pontefice alla fine glielo impose con la superiore autorità.

Negli anni successivi Bellarmino fu bonariamente descritto come “il gesuita vestito di rosso”, in relazione all’abito cardinalizio che contrastava con la tonaca nera dei gesuiti. Nonostante questa nomina, egli non cambiò il suo austero e sobrio stile di vita e tutte le sue rendite e gli introiti economici conseguenti alla sua nomina e alle sue attività, furono massimamente devolute per i poveri.

Negli ultimi anni il cardinale Roberto Bellarmino continuò il suo austero modo di vivere che aveva sempre praticato, dedicando molto del suo tempo alla preghiera e ai digiuni, nonostante la sua salute piuttosto precaria. Continuò a fare molte elemosine ai poveri, ai quali lasciò praticamente tutti i suoi averi, tanto che fu sempre molto amato dai romani; contribuì a far concedere l’approvazione pontificia alla fondazione del nuovo Ordine della Visitazione di San Francesco di Sales; si impegnò per la beatificazione di San Filippo Neri; inoltre portò a termine la stesura di un “grande catechismo” e di un “piccolo catechismo”, quest’ultimo in particolare ebbe notevole successo e fu ampiamente utilizzato fino a tutto il XIX secolo; infine compose un piccolo e anch’esso famoso testo “De arte bene moriendi” oltre che una sua “Autobiografia”.

Fu nominato Camerlengo del Sacro Collegio dal 9 gennaio 1617 all’8 gennaio 1618. Successivamente fu Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e poi della Sacra Congregazione dell’Indice.

Egli visse ancora per assistere a un altro conclave, quello che elesse Gregorio XV nel febbraio 1621. La sua salute stava rapidamente declinando e nell’estate dello stesso anno gli fu permesso di ritirarsi a Sant’Andrea al Quirinale, sede del noviziato dei gesuiti, per prepararsi al trapasso. Qui spirò il 17 settembre 1621 tra le ore 6 e le 7 del mattino.

Alla sua morte il suo corpo fu deposto nella cripta della casa professa, la Chiesa del Gesù a Roma e dopo circa un anno fu posto nel sepolcro che aveva ospitato il corpo di Sant’Ignazio di Loyola. Di lui disse Francesco di Sales che era “fontana inesauribile di dottrina”.

Poco dopo la sua morte la Compagnia di Gesù ne propose la causa di beatificazione che ebbe effettivamente inizio nel 1627 durante il pontificato di Urbano VIII, quando gli fu conferito il titolo di venerabile.

Tuttavia un ostacolo di natura tecnica, proveniente dalla legislazione generale sulle beatificazioni, emanata da Urbano VIII, comportò una dilazione. Poi l’iter si arenò e anche se la causa fu reintrodotta in numerose occasioni negli anni 1675, 1714, 1752, 1832 e nonostante a ogni ripresa la grande maggioranza dei voti fosse favorevole alla sua beatificazione, l’esito positivo arrivò solamente dopo molti anni.

Il motivo fu in parte legato al carattere influente di alcuni prelati che espressero parere negativo e in particolare il cardinale e santo Gregorio Barbarigo, il cardinale domenicano e tomista Girolamo Casanate, il famoso cardinale Decio Azzolino juniore nel 1675; il potente cardinale Domenico Passionei nel 1752[1]; quest’ultimo in particolare, in frequente contrasto con i gesuiti e vicino alle tesi gianseniste opposte alla tesi molinista della grazia efficace.

Inoltre secondo molti, la causa principale fu il parere circa l’opportunità politica internazionale, dal momento che il nome del cardinale Bellarmino era strettamente associato a una visione dell’autorità pontificia in netto contrasto con i politici regalisti della corte di Francia dei secoli XVIII e XIX. A tal proposito basti la citazione di Papa Benedetto XIV che scrisse al cardinale de Tencin: “Noi abbiamo confidenzialmente detto al Generale dei Gesuiti che il ritardo della causa è motivato non da materie di poco conto attribuite a suo carico dal cardinale Passionei, ma dalle infelici circostanze dei tempi”
(Études Religieuses, 15 aprile 1896).

Il 22 dicembre 1920 papa Benedetto XV riassumendo l’iter per la sua beatificazione, promulgò il decreto della eroicità delle sue virtù; poi il 13 maggio 1923, durante il pontificato di Pio XI, fu celebrata la sua beatificazione e dopo sette anni, il 29 giugno 1930 fu canonizzato. Più breve è stato quindi il processo di canonizzazione e ancora più rapida la nomina a Dottore della Chiesa, conferitagli il 17 settembre 1931 sempre da parte di Pio XI.

In passato era il 13 maggio giorno della sua beatificazione; è santo patrono della Pontificia Università Gregoriana, dove è comunque commemorato il 13 maggio, dei catechisti, degli avvocati canonisti, dell’arcidiocesi della città di Cincinnati negli USA.

Dal 21 giugno 1923 il suo corpo è venerato dai fedeli nella terza cappella di destra della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma, chiesa del Collegio Romano che conserva le reliquie di altri santi gesuiti tra cui San Luigi Gonzaga. Le ossa del suo scheletro sono state ricomposte e unite con fili d’argento e rivestite con l’abito cardinalizio mentre il volto e le mani sono state ricoperte d’argento; così appare sotto l’altare a lui dedicato.

Alcuni fedeli a lui devoti usano fare questa preghiera: “O Dio, che per il rinnovamento spirituale della Chiesa ci hai dato in San Roberto Bellarmino vescovo un grande maestro e modello di virtù cristiana, fa’ che per sua intercessione possiamo conservare sempre l’integrità di quella fede a cui egli dedicò tutta la sua vita”.

Altri Santi che la Chiesa commemora il 17 settembre

San Satiro – A Milano, deposizione di san Satiro, i cui meriti sono ricordati da sant’Ambrogio, suo fratello: non ancora iniziato ai misteri di Cristo, avendo fatto naufragio, non temette la morte, ma, per non lasciare la vita senza aver ricevuto i sacramenti, salvato dalle onde aderì alla Chiesa di Dio; un’intimo e reciproco affetto lo unì al fratello Ambrogio, che lo seppellì accanto al santo martire Vittore. (dal Martirologio)

San Lamberto, vescovo – A Liegi in Austrasia, nell’odierno Belgio, passione di san Lamberto, vescovo di Maastricht e martire, che, mandato in esilio, si ritirò nel monastero di Stavelot; riavuta poi la sede, svolse degnamente il suo ministero pastorale, prima di divenire innocente vittima di uomini a lui ostili. (dal Martirologio)

San Rodingo, abate – Nei boschi delle Argonne lungo la Mosa in Austrasia nel territorio dell’odierna Francia, san Rodingo, abate, che fondò il monastero di Beaulieu e lo resse piamente. (dal Martirologio)

Santa Colomba, vergine e martire – A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santa Colomba, vergine e martire, che durante la persecuzione dei Mori professò spontaneamente la sua fede davanti al giudice e al consiglio cittadino e fu prontamente decapitata con la spada davanti alle porte del palazzo. (dal Martirologio)

San Reginaldo, eremita – A Mélinais nel territorio di Angers in Francia, san Reginaldo, eremita, che si ritirò nella selva di Craon per adempiere più pienamente ai precetti del Signore. (dal Martirologio)

Santa Ildegarda, vergine – Nel monastero di Rupertsberg vicino a Bingen nell’Assia, in Germania, santa Ildegarda, vergine, che, esperta di scienze naturali, medicina e di musica, espose e descrisse piamente in alcuni libri le mistiche contemplazioni, di cui aveva avuto esperienza. (dal Martirologio)

San Pietro de Arbués, sacerdote e martire – A Saragozza nell’Aragona in Spagna, san Pietro de Arbués, sacerdote e martire: canonico regolare dell’Ordine di Sant’Agostino, lottò nel regno di Aragona contro le superstizioni e le eresie e morì percosso da alcuni inquisiti davanti all’altare della cattedrale. (dal Martirologio)

Sant’Emanuele Nguyen Van Trieu, sacerdote e martire – A Huê nell’antico An Nam, ora Viet Nam, sant’Emanuele Nguyen Van Trieu, sacerdote e martire sotto il regime di Canh Thinh. (dal Martirologio)

San Francesco Maria da Camporosso, religioso – A Genova, san Francesco Maria da Camporosso, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, insigne per la sua carità verso i poveri, che, al dilagare della peste, contrasse egli stesso la malattia, offrendosi come vittima per la salvezza del prossimo. (dal Martirologio)

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