16 agosto: San Rocco, pellegrino
La Chiesa commemora oggi il santo più invocato nell’Europa del Medioevo per debellare la peste, tuttora, dai contadini nei campi, dai soccorritori durante le grandi catastrofi come i terremoti, dai medici che si occupano di epidemie e malattie gravissime, è divenuto con il passare dei secoli il santo più conosciuto nel continente europeo e oltreoceano ma anche uno dei più misteriosi
In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati. (dal Martirologio)
Secondo l’agiografia comparata alle più recenti indagini biografiche, confrontando e incrociando le date della vita del santo e gli eventi storici dell’epoca, è nella seconda metà del ‘300 che si può attestare che nelle carceri di Voghera moriva un pellegrino di origine francese arrestato circa 5 anni prima nei pressi della vicina località di Broni con l’accusa di spionaggio aggravata dalla reticenza nel dare le proprie generalità (le fonti più datate, ad esempio, sono concordi nel ricordare che la morte di San Rocco di Montpellier avvenne di martedì: l’unico anno in cui la notte tra il 15 e il 16 agosto cadeva di martedì era il 1379).
Attorno a quest’uomo aleggiava già una certa fama di santità, accompagnata dai fatti di Piacenza e Sarmato, fama di santità che avrebbe portato all’acclamazione della stessa sia durante il Concilio di Costanza e sia con il decreto pontificio di attestazione dell’esistenza e rilevanza del culto, come detto più avanti.
Su Rocco di Montpellier si inseriranno e si confonderanno, è vero, elementi di Racho di Autun ma saranno sufficienti pochi decenni perché le fonti restituiscano sufficienti elementi di valutazione, fondamentali ai fini del culto per avvalorare il quale la ricerca storica cerca di rimuovere gli elementi spuri.
Tutti concordano che sia nato a Montpellier, in Francia, da famiglia agiata, forse i Delacroix (Giovanni e Libera), che erano tra i maggiorenti cittadini e consoli della città. Nacque, festeggiatissimo, come un segno miracoloso che veniva al mondo quando la coppia, molto avanti negli anni, aveva perso la speranza di avere un erede per l’antico casato.
Ricevette una dura e religiosa educazione da parte della pia madre Libera, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla vergine Maria a cui è associato in tutta l’iconografia che lo riguarda e che lo spinse sin dalla nascita a diventare un “servo di Cristo”, ossia a seguire Cristo nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste, come si può notare dalla croce rossa marchiata sul suo petto come simbolo di vocazione eterna. Il suo sentimento religioso, i suoi comportamenti abituali, consolare il pianto dell’orfano, prestare assistenza all’infermo, dare da mangiare all’affamato, il suo carattere amabile nonostante le sue ricche origini, ricordava a distanza di un secolo San Francesco d’Assisi a cui Rocco era devoto.
A siffatte qualità d’animo con armonia si univano mirabili doti della mente grazie alla formazione sino all’età di vent’anni presso l’università di Montpellier, a cui affluivano giovani da ogni angolo della Francia. Perduti i genitori in giovane età, distribuì i suoi averi ai poveri e s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.
Arrivato in Italia, durante le epidemie di peste andava a soccorrerne i contagiati anziché fuggire i luoghi ammorbati. Verosimilmente l’epidemia più rilevante di cui si tratta era la peste che investì l’Italia nel 1367-1368, anche se Rocco aveva già conosciuto il drammatico evento durante la sua giovinezza, a Montpellier, prima nel 1348, poi nel 1361.
Mentre la peste mieteva a migliaia le sue vittime, i colpiti non si contavano più e aumentavano i cadaveri insepolti, le città e campagne abbandonate, saccheggiatori e depravati, i medici indisposti a curare gli infermi, i sacerdoti insufficienti nel prestar conforto con la fede, si faceva strada quest’uomo, allora ventenne, che nonostante la sua persona debolissima (piccolo di statura, pelle bianca, mani sottili ed eleganti, capelli biondi e arricciati, occhi dolci e pensosi e una testa piccola e regolare) si sentiva ugualmente idoneo ad affrontare il grave pericolo di un lungo viaggio e dedicarsi alla sua vera vocazione: la carità, senza alcun limite di tempo e spazio. Nel suo pellegrinaggio mai si confuse nella folla intenta a visitare e ammirare le chiese e i monumenti delle città.
Acquapendente è una delle poche città ricordate unanimemente da tutte le antiche agiografie, non solo come tappa fondamentale e irrinunciabile per qualunque pellegrino medievale diretto a Roma, ma soprattutto in quanto suggestivo luogo del primo, importante episodio della vita di san Rocco in terra italiana: l’incontro con Vincenzo nel locale Hospitale di San Gregorio, incontro magistralmente narrato da Francesco Diedo nella sua Vita Sancti Rochi (1479), è infatti diventato l’unico che possa essere paragonato, in termini di popolarità, con i celebri eventi della zona di Piacenza.
Un fatto straordinario accompagnò la missione del giovane pellegrino ad Acquapendente: su invito di un angelo, egli benediceva gli appestati con il segno della croce e all’istante li guariva toccandoli con la mano taumaturgica. Così, in breve tempo, l’epidemia si estinse.
Tra i luoghi toccati durante il viaggio a Roma ci sono Forlì, Cesena e Rimini (forse all’andata o più probabilmente al ritorno), dove intervenne in altre epidemie, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, cosa che iniziò a far emergere i carismi del santo presso la gente.
Giunto a Roma tra il 1367 e il 1368, vi rimase tre anni e qui curò, fino ad ottenerne la guarigione, un cardinale che lo presentò al papa.
Anche il ritorno da Roma a Montpellier fu interrotto da un’epidemia di peste, in corso a Piacenza. Rocco vi si fermò ma, mentre assisteva gli ammalati dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato. Allora, un po’ per non aumentare il contagio e un po’ per tener fede al voto di anonimato che aveva fatto come pellegrino, si trascinò fino ad una grotta (tuttora esistente, trasformata in luogo di culto) lungo il fiume Trebbia, in una zona che all’epoca era alla periferia di Sarmato, sempre sulla via Francigena.
La tradizione indica a questo punto un cane (che tanti artisti dipingeranno o scolpiranno al fianco del santo) che durante la degenza di Rocco appestato provvedeva quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del castello di Sarmato, il nobile Gottardo Pallastrelli, che, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse in quella capanna dove Rocco gemeva per terra. Soccorso e curato dal nobile signore, Rocco riprese il suo cammino. Gottardo voleva seguirlo nella vita di penitenza ma Rocco glielo sconsigliò.
Nonostante ciò, talmente commosso alla vista di quel mendico e affascinato dalle sue parole, cedette anch’egli ai poveri il suo patrimonio e si ritirò da pellegrino in quella capanna.[9] Gottardo divenne il primo biografo del santo pellegrino e (secondo la tradizione) ne dipinse il primo ritratto, tuttora visibile, affrescato nella chiesa di Sant’Anna di Piacenza. Tuttavia il più antico simulacro che lo raffigura sembra proprio essere la statuetta ora conservata a Grenoble.
La peste intanto riapparse di nuovo violenta a Piacenza e Rocco ritornò in città sul campo d’azione; debellato definitivamente il morbo nella città e nei villaggi circostanti il Santo si ritirò nella selva, per occuparsi degli animali colpiti dalla peste, non più isolato bensì accompagnato da parecchi piacentini che professandosi suoi discepoli, mostrarono l’interesse di coadiuvarlo e trasmettere il suo coraggio e le sue parole. Esaurito il suo compito, decise di ritornare in patria.
Lungo la storia san Rocco è pure venerato quale Terziario Francescano, al pari di san Corrado Confalonieri da Piacenza, che fino al 1340 circa, proprio non molto lontano da Sarmato, si era ritirato nell’hospitio di Calendasco, presso il passo del Po lungo la via Francigena, per poi partire pellegrino e morire nel 1351 a Noto in Sicilia.
I privilegi papali concessi al Terz’Ordine Regolare nel 1475 e poi nel 1547 per l'”Ufficiatura Liturgica propria di San Rocco”, fanno menzione di altri più antichi documenti papali, quali quelli di Papa Onorio III e Papa Gregorio IX.
Quello che sarebbe dovuto essere il ritorno a Montpellier però si interruppe a Voghera. In quelle regioni funestate dalla guerra giunse Rocco della Croce, anelante di ritornare in patria senz’altro chiedere che tranquilla ospitalità. Dalla barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, giunse al confine della cittadina non sfuggendo né alla curiosità della gente né alla vigilanza delle sentinelle.
Nessuno lo riconobbe, pur essendo i suoi parenti per parte di madre di origine lombarda: sospettato per la sua riluttanza e scambiato per una spia, fu legato e condotto dinanzi al governatore Guglielmo della Croce, suo zio paterno, che non lo riconobbe e nulla fece Rocco per farsi riconoscere. Senza ulteriori indagini, senza processo finì in carcere senza ribellarsi e vi restò per un lungo periodo (dai tre ai cinque anni, a seconda delle biografie) dimenticato da tutti.
La prigionia fu vissuta dal Santo in un tormentoso silenzio e nel desiderio di essere lasciato in solitudine nel carcere senza essere riconosciuto per vivere quei pochi giorni che gli restavano da vivere. Non si lamentava della sua sorte, anzi aumentava i tormenti del carcere castigando la sua persona con molte privazioni, continue veglie e flagellazioni cruente; se gli si domandava: «È mai vero che siete un esploratore dei nostri nemici?» lui rispondeva: «Io sono peggiore di una spia».
Nonostante gli innumerevoli sforzi di un sacerdote, insospettitosi dello strano atteggiamento di Rocco durante le sue visite in carcere, di perorare la causa del prigioniero, il governatore non prestò ascolto; intanto nella cittadina si diffuse la voce che nelle carceri un innocente si lasciava morire.
Morì trentaduenne, nella notte tra il 15 e il 16 agosto di un anno imprecisato tra il 1376 e il 1379. Non morì certamente ad Angera, sul Lago Maggiore: questa località veniva indicata a causa di errori di dizione ormai definitivamente dimostrati e risolti dagli studiosi.
L’ipotesi più probabile è che sia morto nel carcere di Voghera, dove già nel 1382 era attestata la prima festa in suo onore. La notizia della sua morte in Montpellier lasciò un intenso dolore che invase l’intera popolazione e lo sgomento per aver fatto morire un innocente in carcere. Tale commozione esplose quando il ritrovo di una tavoletta a fianco della salma sulla quale erano incisi a carattere d’oro il nome di Rocco della Croce e le seguenti parole: “Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello”.
Il riconoscimento del corpo da parte di una donna probabilmente la nonna di Rocco, madre del governatore, grazie alla croce rossa impressa nelle carni dell’uomo, confermarono l’identificazione. Il compianto di un’intera cittadinanza fu il premio di tanta virtù e in sua memoria la salma su cui si scolpirono le parole rinvenute sulla tavoletta fu deposta nella principale chiesa di Montpellier.
Le ricerche dello storico contemporaneo belga Pierre Bolle (le più recenti sono state avviate nel 2001), che rappresentano oggi il più approfondito lavoro sulle agiografie di Rocco di Montpellier, hanno messo in luce la non del tutto acquisita storicità di molti dati riferiti a questa figura di santo, le cui biografie convenzionalmente richiamate fino a questo lavoro di revisione, erano incrementate da elementi spuri e/o leggendari che intaccavano pure le date della sua vita. La revisione dello studioso è servita a chiarire la cronologicità delle agiografie e a rivoluzionare le cronologie stesse (quale fosse la più antica e quali fossero invece semplici e/o successive rielaborazioni e aggiunte), secondo una rigorosa metodologia storica.
Secondo Pierre Bolle, dunque, la figura di san Rocco convenzionalmente conosciuta fino a poco tempo fa sarebbe quindi stata la “rivisitazione agiografica” di un suo omonimo più antico, san Racho di Autun, vissuto prima dell’anno 1000. Quest’ultimo, patrono dei prigionieri per essere lui stesso stato imprigionato dai suoi accusatori in un’isoletta presso le coste Britanniche, era invocato contro le tempeste e data l’assonanza, sarebbe alla base sia della confusione dei nomi (Raco/Rocco), sia della titolarità del patronato di guaritore dalla peste, che si sarebbe generato per aferesi (= caduta della prima sillaba di una parola) della parola francese tempeste: san rocco è il protettore di “triggiano”, il passo fu breve, tanto più se si pensa che le teorie della medicina galenica di allora attribuivano l’origine dei morbi alla corruzione dell’aria e alla conseguente rottura dell’equilibrio all’interno del corpo umano e di conseguenza la quarantena.
Le tesi di Bolle hanno rivoluzionato gli studi sul santo, anche se in campo agiografico l’esistenza di “doppioni” e omonimi alla base della creazione di nuovi santi è un procedimento conosciuto, come ad esempio nel caso dei santi Vincenzo di Agen e Albano di Namur. Tutto questo lavoro ovviamente nulla toglie alla vicenda sia umana che religiosa del santo, che anzi riemerge da questa revisione “disincrostato” da elementi pietistici fini a sé stessi e che appesantivano il lineare inquadramento dei suoi carisma, figura ed esempio.
Nel 1485, dopo alterne vicende di trafugamenti e compravendite, i suoi resti (salva una parte delle ossa di un braccio lasciate a Voghera) furono portati, trovando definitiva collocazione, nella chiesa di San Rocco a Venezia. Successivamente, per volontà di papa Clemente VIII nel 1575 una reliquia – sempre delle ossa di un braccio – fu fatta giungere a Roma e un’altra porzione di reliquie (tra cui una tibia) fu donata alla sua chiesa – santuario di Montpellier.
A Genova, nella chiesa di San Rocco di Vernazza, in una nicchia vicina alla cassa processionale dell’ Arciconfraternita San Rocco di Vernazza Morte e Orazione opera dello scultore Anton Maria Maragliano raffigurante San Rocco che prega il Redentore, uno scrigno d’argento custodisce una reliquia ossea del Santo donata nel 1995 dalla chiesa di San Rocco (Venezia) che da oltre cinque secoli ne custodisce il corpo.
Il culto di san Rocco è popolarissimo da secoli in Europa e nel resto del mondo. Lo si invocava contro la peste, malattia autentico flagello medievale e che a più riprese si diffuse per contagio nel vecchio continente mietendo milioni di vittime. I recenti aggiornamenti liturgici gli riconoscono pure il patronato contro le altre malattie contagiose, AIDS compresa.
È invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, visto il suo carisma di guarigione e l’uso che aveva di invocare la protezione di Dio sui luoghi che toccava, prima di lasciarli. È patrono pure degli invalidi, dei prigionieri e degli emarginati, per aver provato le stesse condizioni durante la sua vita.
La sua popolarità rimane ancora ben viva, tanto che, sia in Italia che all’estero, è il santo patrono di numerosi paesi e diverse località portano il suo nome.
A Montecalvello, piccolo borgo a 5km da Grotte Santo Stefano in provincia di Viterbo, è significativa la piccola chiesa dedicata a San Rocco, proprio perché costruita lungo la strada che i pellegrini percorrevano per giungere a Roma attraverso il Tevere. All’interno di questa piccola chiesa dove è raffigurato San Rocco, i pellegrini si fermavano per venerarlo e spesso lasciavano traccia del loro passaggio scrivendo brevi graffiti sui muri.
A Pignola in una teca della chiesa di Santa Maria degli Angeli, è custodito un minuscolo pezzo di un osso degli arti superiori del santo.
Nel 1995, il cardinale Marco Cè, Patriarca di Venezia, acconsentì alla esposizione temporanea delle reliquie presso la chiesa di San Rocco di Vernazza in Genova. Il 28 settembre di quell’anno, il corpo del santo, racchiuso in un’urna di cristallo, venne trasferito da Venezia e accolto con cerimonie solenni presso la chiesa ligure, alla presenza delle Confraternite genovesi, tra cui l’Arciconfraternita San Rocco di Vernazza Morte e Orazione con i suoi quattro grandi Crocifissi processionali.
La scarsa storiografia su San Rocco si estende anche alla sua canonizzazione. Non solo non si conosce con esattezza la data ma addirittura c’è ancora oggi chi nega che ci sia stata per il Santo una vera e propria elevazione alla gloria degli altari. L’ipotesi più credibile è che sia avvenuta per opera del Concilio di Costanza nel 1414, durante il quale, secondo la tradizione, la cittadina fu colpita dalla pestilenza e mentre i Padri conciliari stavano discutendo se convenisse lasciare la città, un giovane cardinale propose in assemblea come unica soluzione il ricorso ad un uomo di Dio, San Rocco.
La proposta fu accolta e dopo aver portato in processione per la città l’immagine del Santo, la città fu in breve tempo liberata dal morbo. Fu quella, quindi, una canonizzazione avvenuta per acclamazione di popolo e ufficialmente riconosciuta dal concilio. La prima ufficializzazione del culto di San Rocco è comunque avvenuta in un periodo tribolato per la Chiesa, il cosiddetto scisma d’Occidente, con più papi eletti contemporaneamente al soglio pontificio, il primo fra i quali, Papa Gregorio XIII ne fissò la sua festa al 16 agosto.
Infine, Papa Urbano VIII approvò solennemente il suo culto nel 1629 e la Congregazione dei riti concesse un ufficio e una messa proprie alle chiese costruite in onore del Santo. Nel 1694, Papa Innocenzo XII prescrisse ai francescani di celebrarlo con il rito doppio maggiore. Così la gerarchia ecclesiastica seguì l’entusiasmo espresso dai fedeli nei confronti di Rocco diventato santo grazie ai suoi miracoli piuttosto che al favore del clero.
Come citato, venne ricordato con Ufficiatura Liturgica propria quale appartenente ai Terziari francescani, anche se alcune non ancora provate tesi sulla sua “francescanità” pare affermino che essa sia dovuta all’azione dei religiosi francescani, appunto, che ne diffusero il culto sia su richiesta della Corte del Regno delle Due Sicilie (alcuni Borboni furono guariti per sua intercessione) che per mandato di Pontefici provenienti dall’Ordine dei Minori.
Nella zona di Montpellier il suo culto arrivò dopo (la prima processione rilevante in suo onore fu celebrata nel 1505), per propagazione dal nord della Francia dove era stato diffuso a seguito dello zelo della famiglia di commercianti germanico-veneziani Imhoff. Ivi chi fu maggiormente investito di far conoscere questa carismatica figura di santità furono: i Domenicani (la prima cappella dedicatagli fu eretta nel convento cosiddetto “dei Giacobini”, casa domenicana del centro storico di Montpellier, tuttora attiva); i Trinitari (la casa religiosa più importante della zona era quella di Arles, dove si custodivano le reliquie di san Rocco di Autun, in seguito fu aperta quella di Montpellier dove la famiglia De Castries fece giungere la reliquia – tuttora conservata e venerata – di una tibia di san Rocco di Montpellier, appunto); questi religiosi guidavano la processione che la sera del 15 agosto si recava dinanzi alla casa del santo per cantarvi l’inno Ave Roche; dopo le soppressioni la loro chiesa fu riconsacrata nel 1830 come santuario – tuttora esistente – del santo; i Francescani, come indicano chiaramente ad esempio le “Fonti Francescane”, che sono una preziosa raccolta di documenti sulla storia del francescanesimo in generale, che riportano tutta la documentazione coeva a San Francesco e oltre, proprio relativamente alla diffusione del suo Ordine da poco approvato e che in Francia, così come in tantissime altre nazioni, avrà una diffusione capillare.
Le confraternite intitolate a San Rocco (a cominciare dall’Arciconfraternita Scuola Grande di Venezia, che ne custodisce il corpo), iniziarono ad essere istituite dalla seconda metà del ‘400 e si occuparono tra l’altro anche della sepoltura dei cadaveri abbandonati durante le epidemie. Quella di Roma dal 1556 ha il titolo di Arciconfraternita (decreto di Papa Paolo IV) con la facoltà di aggregare altre confraternite omonime. Nella sua chiesa, per volontà di Papa Clemente VIII, dal 1575 è custodita l’Insigne Reliquia di una porzione d’osso del braccio destro di San Rocco, reliquia oggi pellegrina al pari di altre reliquie conservate in altre località e che vengono recate, su richiesta, presso le comunità che venerano San Rocco e intendono onorarne i resti.
La principale reliquia insigne di san Rocco resta quella custodita nella chiesa parrocchiale di San Rocco di Voghera, che ne custodì il corpo fino alla fine del ‘400 quando fu portato a Venezia. Voghera rimane comunque il centro da cui si sviluppò il culto del santo pellegrino di Montpellier, la cui celebrazione è attestata a partire dalla fine del ‘300 (il primo e più antico documento al mondo, attualmente disponibile, in cui se ne parli, è lo statuto comunale vogherese di quel tempo).
A Genova nel 1467 in località Lo Vigo, in quel d’Albaro, zona di lussureggianti vigneti in seguito chiamata Vernazza, gli abitanti vedono avvicinarsi alle loro case il tremendo morbo della peste e riuniti in preghiera fanno un voto a San Rocco affinché li salvi dalla dilagante epidemia. La loro preghiera è ascoltata: nella zona di Vigo tutti i suoi abitanti sono risparmiati dalla grande pestilenza, questi con un atto d’amore e riconoscenza pongono presto la prima pietra di un pilone votivo a Lui consacrato.
L’anno successivo come si può leggere su di un atto notarile, un benestante abitante della zona d’Albaro concede una sua casa diroccata e il terreno adiacente nelle immediate vicinanze del pilone votivo, affinché si edifichi al più presto un Oratorio votivo in onore di San Rocco. Qui il 29 giugno 1468 nasce il primo gruppo dei Confratelli di San Rocco che daranno poi origine all’Arciconfraternita San Rocco di Vernazza Morte e Orazione di Genova. (fonte Cathopedia)
Altri Santi che la Chiesa commemora il 16 agosto
Santo Stefano, re d’Ungheria – Santo Stefano, re d’Ungheria, che, rigenerato nel battesimo e ricevuta da papa Silvestro II la corona del regno, si adoperò per propagare la fede cristiana tra gli Ungheresi: riordinò la Chiesa nel suo regno, la arricchì di beni e di monasteri, fu giusto e pacifico nel governare i sudditi, finché a Székesfehérvár in Ungheria, nel giorno dell’Assunzione, la sua anima salì in cielo. (dal Martirologio)
Sant’Arsacio, eremita – Commemorazione di sant’Arsacio, che sotto l’imperatore Licinio professò la fede cristiana e, abbandonato l’esercito, condusse a Nicomedia vita eremitica; infine, preannunciando l’imminente rovina della città, mentre pregava rese lo spirito a Dio. (dal Martirologio)
San Teodoro, vescovo – A Sion nel Vallese nell’odierna Svizzera, san Teodoro, primo vescovo della città, che, seguendo l’esempio di sant’Ambrogio, difese la fede cattolica contro l’arianesimo e venerò con tutti gli onori le reliquie dei martiri di Agauno. (dal Martirologio)
Sant’Armagílo, eremita – In Bretagna, sant’Armagílo, eremita. (dal Martirologio)
San Frambaldo, monaco – Nel territorio di Le Mans, in Francia, san Frambaldo, monaco, che alternò la vita solitaria a quella cenobitica. (dal Martirologio)
Santa Rosa Fan Hui, vergine e martire – Nel villaggio di Fannjiazhuang presso Wujiao nella provincia dello Hebei in Cina, santa Rosa Fan Hui, vergine e martire, che nella persecuzione scatenata dai seguaci della setta dei Boxer, coperta di ferite, fu gettata ancora viva nel fiume. (dal Martirologio)
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