Papa Francesco: “La superbia è la regina dei vizi. Il rimedio? L’umiltà”
Il Pontefice, ancora raffreddato, non legge la catechesi. Ma al microfono rilancia l’appello per la pace in Ucraina e Terra Santa
Città del Vaticano – “C’è poco da fare con una persona ammalata di superbia. La salvezza passa per l’umiltà, vero rimedio ad ogni atto di superbia”. E’ quanto si legge nel discorso preparato dal Pontefice per l’udienza generale di oggi. Un discorso che Papa Francesco rinuncia a leggere: “Cari fratelli e sorelle, ancora sono raffreddato e non posso leggere bene la catechesi, la leggerà un mio aiutante”.
La voce è affaticata, e ai 6mila fedeli riuniti in piazza San Pietro non resta che ascoltare le parole del Santo Padre lette da don Pierluigi Giroli. Il Pontefice, nonostante la tosse, appare comunque in buona forma. Prima di prendere posto sul palco ha compiuto i tradizionali giri a bordo della papamobile scoperta insieme ad alcuni bambini. Nella riflessione continua il ciclo di catechesi dedicato a “Vizi e virtù”, proponendo un focus sulla “regina dei vizi”, ovvero la superbia. Al termine dell’udienza il Papa riprende però il microfono e, dopo aver salutato i pellegrini italiani, rilancia l’ennesimo appello per la pace in Terra Santa e Ucraina. Di seguito il testo completo:
Nel nostro percorso di catechesi sui vizi e le virtù, oggi arriviamo all’ultimo dei vizi: la superbia. Gli antichi greci la definivano con un vocabolo che si potrebbe tradurre “eccessivo splendore”. In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità. Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo (cfr Mc 7,22). Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori.
Da questa prima descrizione, vediamo come il vizio della superbia sia molto prossimo a quello della vanagloria, che abbiamo già presentato la volta scorsa. Però, se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia. Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti. Di tutti i vizi, la superbia è gran regina. Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano.
In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio. Il peccato dei nostri primogenitori, raccontato dal libro della Genesi, è a tutti gli effetti un peccato di superbia. Dice loro il tentatore: «Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio» (Gen 3,5). Gli scrittori di spiritualità sono più attenti a descrivere le ricadute della superbia nella vita di tutti i giorni, a illustrare come essa rovini i rapporti umani, a evidenziare come questo male avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini.
Ecco allora la lunga lista di sintomi che rivelano il cedimento di una persona al vizio della superbia. È un male con un evidente aspetto fisico: il superbo è altero, ha una “dura cervice”, cioè, ha un collo rigido, che non si piega. È un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci. Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai. Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, o un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito.
C’è poco da fare con una persona ammalata di superbia. È impossibile parlarle, tantomeno correggerla, perché in fondo non è più presente a sé stessa. Con essa bisogna solo avere pazienza, perché un giorno il suo edificio crollerà. Un proverbio italiano recita: “La superbia va a cavallo e torna a piedi”. Nei Vangeli Gesù ha a che fare con tanta gente superba, e spesso è andato a stanare questo vizio anche in persone che lo nascondevano molto bene. Pietro sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: “Se anche tutti ti abbandonassero, io no!” (cfr Mt 26,33). Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina. E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa. Prima sfoggiava una presunzione che era meglio non sbandierare; ora invece è un discepolo fedele che, come dice una parabola, il padrone può mettere “a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12,44).
La salvezza passa per l’umiltà, vero rimedio ad ogni atto di superbia. Nel Magnificat, Maria canta il Dio che con la sua potenza disperde i superbi nei pensieri malati del loro cuore. È inutile rubare qualcosa a Dio, come sperano di fare i superbi, perché in fin dei conti Lui ci vuole donare tutto. Per questo l’apostolo Giacomo, alla sua comunità ferita da lotte intestine originate dall’orgoglio, scrive così: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia» (Gc 4,6). Dunque, cari fratelli e sorelle, approfittiamo di questa Quaresima per lottare contro la nostra superbia.
I saluti e l’appello per la pace
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Scalea, accompagnati dal Vescovo Mons. Stefano Rega, che celebrano il giubileo della consacrazione della Chiesa della Santissima Trinità. Accolgo con affetto gli allievi, assieme ai loro formatori, del Seminario Interdiocesano di Pisa e gli ex alunni del Pontificio Collegio Lituano di San Casimiro in Roma, che rendono grazie al Signore per i Settantacinque anni della fondazione dell’Istituto: possiate conformare sempre più la vostra vita a Cristo Buon Pastore ed essere annunciatori gioiosi del Vangelo.
Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questi giorni di Quaresima, continuate con coraggio nell’impegno di liberarvi da tutto ciò che maschera la vostra vita per ritornare con tutto il cuore a Dio, che ci ama di un amore eterno.
Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo. A tutti la mia benedizione. (foto © Vatican Media)
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