Il Papa: “Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo”
Il Pontefice vola a Trieste per chiudere la 50ma Settimana Sociale dei Cattolici in Italia e lancia l’allarme: “La democrazia non gode di buona salute”. Poi il monito: “No alle tentazioni ideologiche e populistiche, il politico deve essere come un pastore”
Trieste – “Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”.
Papa Francesco vola a Trieste per chiudere i lavori della 50ma Settimana Sociale dei Cattolici in Italia sul tema “Al cuore della democrazia” e cita Aldo Moro per introdurre la sua riflessione sulla politica. Lo fa dal Centro Congressi del capoluogo friulano dove sono presenti circa 1200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e oltre 80 vescovi, provenienti da ogni diocesi d’Italia.
Nella sala che ha fatto da sfondo a confronti, dibattiti e tavole rotonde in questi giorni, il Pontefice parla apertamente della crisi che stanno vivendo le democrazie occidentali, definendole come “un cuore ferito”. “Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore infartuato, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale – il monito del Pontefice -. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone”.
Nel mondo di oggi, tuona poi il Santo Padre, “la democrazia non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo”. Una “medicina” potrebbe essere la dottrina sociale della Chiesa che “abbraccia alcune dimensioni dell’impegno cristiano e una lettura evangelica dei fenomeni sociali che non valgono soltanto per il contesto italiano, ma rappresentano un monito per l’intera società umana e per il cammino di tutti i popoli”.
“Così come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e nazioni – osserva il Pontefice -, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo”.
Ma la parola democrazia, fa notare ancora Francesco, “non coincide semplicemente con il voto del popolo, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va allenata, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”.
Per questo è importante far emergere “l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società, promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona”.
“L’assistenzialismo è nemico della democrazia e nemico dell’amore al prossimo – il monito a braccio -. E certe forme di assistenzialismo sono ipocrisie sociali. Ma cosa c’è dietro questo? C’è l’indifferenza, e l’indifferenza è il cancro”.
Anche per questo nella vita sociale è “necessario risanare il cuore”: per essere tale la democrazia deve avere “un cuore risanato”. “Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della tecnologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti”, spiega il Papa, che a braccio nuovamente aggiunge: “Tutte queste cose non entrano nella politica senza partecipazione. il cuore della politica è fare partecipi, prendersi cura di tutto. Non solo la beneficenza, di tutto”.
Da qui l’appello rivolto a tutti i cattolici a “pensarsi come popolo”. “Ci vuole coraggio a pensarsi come popolo, e non il mio clan, la mia famiglia, i miei amici”, dice ancora a braccio, osservando che “purtroppo questa categoria – popolo – spesso è male interpretata e, potrebbe portare a eliminare la parola stessa democrazia. Ciò nonostante, per affermare che la società è più della mera somma degli individui, è necessario il termine popolo, che non è populismo. In effetti, è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo”.
“Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili – ammonisce severamente -. Le ideologie sono seduttrici, come quello che suonava il flauto, ma ti portano ad annegarti. Appassioniamoci invece al bene comune. Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione”.
Per il Pontefice, “la democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale. Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”.
“Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi – precisa il Pontefice -. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti non hanno voce, tanti! Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide”.
Infine, il Papa traccia l’identikit del “perfetto” politico che deve “conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo”. Ma non solo “Il politico – dice ancora a braccio – deve essere come un pastore: davanti, in mezzo, dietro al popolo”. Citando Giorgio La Pira, invita tutti a guardare alle nuove generazioni: “Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa?”.
“Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune. Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Il tempo è superiore allo spazio e avviare processi è più saggio di occupare spazi. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. Anche voi nella vita sociale abbiate coraggio di avviare processi. Non dimenticare che questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza speranza saremmo amministratori, ma non profeti, costruttori del futuro”.
Zuppi al Papa: “Lei è il primo poeta sociale”
Ad introdurre il discorso del Papa il cardinal Zuppi, che nell’accogliere il Pontefice nel Centro Congressi lo definisce il Santo Padre “il primo poeta sociale, ce ne ha indicati tanti e lei è il primo. Grazie perché non si stanca di ricercare la pace – perché la guerra è la fine di ogni socialità – e ricorda a tutti di essere artigiani di pace”.
“Siamo felici di questo incontro di questi giorni e di essere con lei – spiega il Presidente della Cei -. Grazie perché la sua presenza è una benedizione e ci aiuterà a vivere non una settimana ma tutti i giorni come sociali e condivisi. Come fa un cristiano a non essere sociale? Sarebbe un asociale” e questo “non funziona”.
“In questi giorni – spiega Zuppi – qui nessun vittimismo, qui non si è lamentato nessuno”, solo “tanta gioia e tanti problemi affrontati, tanti problemi da amare”. “La Chiesa in Italia al centro ha sempre e solo Gesù e per questo il prossimo ad iniziare dai suoi e nostri fratelli più piccoli”.
A Trieste, conclude il porporato, “ci siamo sentiti a casa, abbiamo trovato una vera piazza Unità d’Italia. Abbiamo trovato tanta cultura del vivere insieme”, ma anche “tante ferite, eredità di dolori terribili da tutte le parti. Credo che incontri come questo aiutino a rendere le differenze quello per cui le abbiamo, una ricchezza per tutti”.
Mons. Renna: “In Italia la vita democratica deve crescere”
“Abbiamo attinto all’inchiostro della democrazia per rinsaldare il legame tra storia e futuro. Risaltano due parole, traduzione concreta della Dottrina sociale della Chiesa e del suo magistero: partecipazione e persona, entrambe con la ‘p’ come la miglior politica, al servizio del bene comune, dell’Italia, dell’Europa, del mondo intero con lo stile della fraternità”, le parole di mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali nel suo saluto al Pontefice.
“Ho la gioia di affidarle il lavoro di mesi di preparazione e di questi quattro giornate di riflessione e di incontro che si sono realizzare non solo in questo luogo ma in tutte le piazze della città – racconta il presule – In questi giorni ci siamo incontrati con oltre 1.000 delegati delle diocesi italiane e sappiamo che dietro di loro ci sono tanti cammini di Chiesa”, “con rappresentanti di associazioni e movimenti che vivono la loro testimonianza nella società civile”, “oltre 100 buone pratiche si sono confrontate tra loro nelle piazze con numerosi partecipanti di questa città davvero accogliente”.
“Tutti insieme – sottolinea Renna – abbiamo qui trovato un luogo per riscoprirci popolo che è pronto a partire per riprendere il suo cammino nella vita quotidiana con delle grandi sfide: quelle della partecipazione e di una cittadinanza vera, autentica”.
“Vogliamo affrontare il tempo della responsabilità che ci attende per far sì che la vita democratica cresca nel nostro Paese, i segnali dell’astensionismo alle elezioni in Italia e in altri Paesi non sono confortanti. Vogliamo impegnarci su questo perché la vita democratica non lasci indietro nessuno e non smetta di essere inclusiva e rispettosa della dignità di ciascuno”, l’appello del presule che, richiamando le parole pronunciate dal presidente Mattarella alla cerimonia di apertura dell’evento, rimarca: “L’alfabeto della democrazia è già presente nella nostra quotidianità” e “l’anima dell’amicizia sociale è quella di un dialogo che prende spunto dal Signore che ci tiene insieme”.
A Trieste “abbiamo anche sperimentato che essere parte del popolo e far parte di un’identità comune, fatta di legami sociali e culturali oltreché di fede. In questi giorni abbiamo cercato di recuperare quel senso di popolo che non dobbiamo dare mai per scontato ma che ci permette di partecipare”.
“Il nostro desiderio di partecipazione, il sogno – purtroppo per alcuni ancora lontano – di creare le condizioni del bene comune affinché i semi che Dio ha posto germoglino nel terreno della democrazia, qui nella nostra Italia, nella nostra Europa della quale ci sentiamo pienamente parte, nel mondo intero nel quale ci vogliamo fare testimoni di pace”, conclude Renna.
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