Il Papa striglia la Curia Romana: “Basta ‘labirintare’ nella rigidità, imparate l’arte dell’ascolto”
Durante il tradizionale scambio di auguri natalizi il Pontefice bacchetta le alte sfere vaticane: “Ancora si dibatte sulla divisione tra ‘progressisti’ e ‘conservatori’ ma la vera differenza centrale è tra ‘innamorati’ e ‘abituati’. Solo chi ama può camminare”
Città del Vaticano – Nuova tirata d’orecchie per la Curia Romana da parte del Sommo Pontefice. L’occasione è il tradizionale scambio di auguri natalizi. E così, l’Aula delle Benedizione, dalla quale il Papa si affaccerà la mattina del 25 dicembre per l’Urbi et Orbi di Natale, fa da sfondo all’ennesima strigliata di cardinali e vescovi. Tre i verbi su cui Francesco mette l’accento nel suo discorso di quattro pagine: ascoltare, discernere, camminare, “tre verbi per il nostro itinerario di fede e per il servizio che svolgiamo qui nella Curia”. Ad ogni verbo collega un personaggio del Natale: all’ascoltare Maria, al discernere il Battista e al camminare i Magi.
“Non siamo lupi rapaci”
Ascoltare, sottolinea il Papa ricordando la figura della Madre di Dio, “è un verbo biblico che non si riferisce soltanto all’udito, ma implica il coinvolgimento del cuore e quindi della vita stessa”. E, con un implicito riferimento agli ultimi documenti vaticani che hanno creato scalpore e diviso i cattolici (leggi qui), Bergoglio bacchetta i cardinali: “Maria capisce di essere destinataria di un dono inestimabile e, ‘in ginocchio’, cioè con umiltà e stupore, si mette in ascolto. Ascoltare ‘in ginocchio’ è il modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci”.
A volte, anche nella comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Non è un “ping pong”.
“Prima si ascolta – rimarca il Santo Padre -, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e, soltanto dopo, possiamo dare una risposta. Tutto questo lo si impara nella preghiera, perché essa allarga il cuore, fa scendere dal piedistallo il nostro egocentrismo, ci educa all’ascolto dell’altro e genera in noi il silenzio della contemplazione”.
E tuona: “Anche nella Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto. Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio. Ascoltiamoci di più, senza pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare”.
“Uscire dai recinti della paura”
Col secondo verbo, discernere, termine che il Pontefice lega al Battista, Papa Bergoglio tuona nuovamente: “Il discernimento ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. La vita è superiore alle idee, sempre”.
Nella terza parola, camminare, “il pensiero va naturalmente ai Magi”. E ammonisce: “La fede cristiana non vuole confermare le nostre sicurezze, farci accomodare in facili certezze religiose, regalarci risposte veloci ai complessi problemi della vita. Al contrario, quando Dio chiama suscita sempre un cammino”. “Anche nel servizio qui in Curia – aggiunge – è importante restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di ‘labirintare’ dentro i nostri recinti e nelle nostre paure. Le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero. E restiamo vigilanti contro il fissismo dell’ideologia, che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare”.
Quando il servizio che svolgiamo rischia di appiattirsi, di “labirintare” nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del “tirare a campare”, ricordiamoci di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire. E non dimentichiamo che dai labirinti si esce solo “da sopra”.
E striglia ancora la Curia Romana: “Ci vuole coraggio per camminare, per andare oltre. È questione di amore. Ci vuole coraggio per amare. Mi piace ricordare la riflessione di uno zelante sacerdote sull’argomento, che può aiutare anche noi nel nostro lavoro di Curia. Egli dice che si fa fatica a riaccendere le braci sotto la cenere della Chiesa. La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra ‘progressisti’ e ‘conservatori’, ma questa non è la differenza: la vera differenza centrale è tra ‘innamorati’ e ‘abituati’. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare”.
“Il Signore Gesù, Verbo Incarnato, ci doni la grazia della gioia nel servizio umile e generoso. E per favore, mi raccomando, non perdiamo il senso dell’umorismo, che è salute!”, conclude il Papa, che prima di impartire la benedizione chiede una preghiera per lui: “Auguri di un Santo Natale, anche per i vostri cari! E, davanti al presepe, fate una preghiera per me. Grazie tante”. (foto © Vatican Media)
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