“I quattro peccati della comunicazione”: la lezione di Papa Francesco ai giornalisti
Il Pontefice insignito del premio “è Giornalismo”. Agli operatori dei media confida sogni e preoccupazioni, poi tuona: «Non cediamo alla logica della contrapposizione, non lasciamoci condizionare dai linguaggi di odio».
Nuova lezione di “comunicazione” del Papa ai giornalisti. L’occasione è l’incontro con la delegazione del Premio “È giornalismo”, consegnato questa mattina in Vaticano proprio al Pontefice, che confessa: «Ancora prima di diventare Vescovo di Roma, ero solito declinare l’offerta di premi. Mai ne ho ricevuti, non volevo. E ho continuato a fare così anche da Papa. C’è però un motivo che mi ha spinto ad accettare il vostro, ed è l’urgenza di una comunicazione costruttiva, che favorisca la cultura dell’incontro e non dello scontro; la cultura della pace e non della guerra; la cultura dell’apertura verso l’altro e non del pregiudizio».
«Una scelta inedita nella storia di questo riconoscimento, che però – si legge in una nota – si inquadra perfettamente in quello che era l’obiettivo che si erano posti Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Giancarlo Aneri, quando fondarono il Premio nel lontano 1995: aiutare il giornalismo ad essere più consapevole del suo ruolo di libera espressione e di contributo alla costruzione della giustizia attraverso il servizio alla verità». Questo obiettivo oggi «si rinnova nel ritrovare il coraggio di parlare e scrivere di pace».
Con il suo messaggio, «Papa Francesco interpreta, unica voce, il coraggio di usare il dialogo per dire parole di pace». Nel motivare l’attribuzione, la giuria, presieduta dallo stesso Giancarlo Aneri e composta da Stella Aneri, Giulio Anselmi, Mario Calabresi, Massimo Gramellini, Paolo Mieli, Gianni Riotta e Gian Antonio Stella, considera questa scelta «un segnale importante per il mondo dell’informazione, in particolare per le generazioni più giovani dei giornalisti», e ricorda l’insegnamento del Pontefice, secondo cui la pace «è un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune più forte della vendetta».
E agli «illustri esponenti del giornalismo italiano», il Papa confida «una speranza e anche di rivolgervi con tutta franchezza una richiesta di aiuto”. E scherza: “Ma non vi chiedo soldi, state tranquilli!»
La speranza del Papa è questa: «Che oggi, in un tempo in cui tutti sembrano commentare tutto, anche a prescindere dai fatti e spesso ancora prima di essersi informati, si riscopra e si torni a coltivare sempre più il principio di realtà – la realtà è superiore all’idea, sempre –: la realtà dei fatti, il dinamismo dei fatti; che mai sono immobili e sempre si evolvono, verso il bene o verso il male, per non correre il rischio che la società dell’informazione si trasformi nella società della disinformazione».
I peccati dei “giornalisti”
E tuona: «La disinformazione è uno dei peccati del giornalismo, che sono quattro: la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia (a volte si usa questo); la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e il quarto è la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, lo scandalo vende. La disinformazione è il primo dei peccati, degli sbagli – diciamo così – del giornalismo».
Per far questo, però, sottolinea Bergoglio, «c’è bisogno di diffondere una cultura dell’incontro, una cultura del dialogo, una cultura dell’ascolto dell’altro e delle sue ragioni». La cultura digitale, rimarca, «ci ha portato tante nuove possibilità di scambio, ma rischia anche di trasformare la comunicazione in slogan. No, la comunicazione è sempre andata e ritorno. Io dico, ascolto e rispondo, ma sempre dialogo. Non è uno slogan».
Il Santo Padre si dice poi preoccupato dalle «manipolazioni di chi propaga interessatamente fake news per orientare l’opinione pubblica. Per favore, non cediamo alla logica della contrapposizione, non lasciamoci condizionare dai linguaggi di odio».
«Nel drammatico frangente che l’Europa sta vivendo, con il protrarsi della guerra in Ucraina, siamo chiamati a un sussulto di responsabilità. La mia speranza è che si dia spazio alle voci di pace, a chi si impegna per porre fine a questo come a tanti altri conflitti, a chi non si arrende alla logica “cainista” della guerra ma continua a credere, nonostante tutto, alla logica della pace, alla logica del dialogo, alla logica della diplomazia.»
La richiesta d’aiuto ai giornalisti
La richiesta di aiuto che il Papa fa ai giornalisti in questo tempo, «in cui si parla molto e si ascolta poco, e in cui rischia di indebolirsi il senso del bene comune, la Chiesa intera ha intrapreso un cammino per riscoprire la parola insieme. Dobbiamo riscoprire la parola insieme. Camminare insieme. Interrogarsi insieme. Farsi carico insieme di un discernimento comunitario, che per noi è preghiera, come fecero i primi Apostoli: è la sinodalità, che vorremmo far diventare abitudine quotidiana in ogni sua espressione».
«Capisco benissimo – afferma Francesco – che parlare di ‘Sinodo sulla sinodalità’ può sembrare qualcosa di astruso, autoreferenziale, eccessivamente tecnico, poco interessante per il grande pubblico. Ma ciò che è accaduto nell’anno appena passato, che proseguirà con il momento assembleare del prossimo ottobre e poi con la seconda tappa del Sinodo 2024, è qualcosa di veramente importante per la Chiesa».
«Per favore, abituarci ad ascoltarsi, a parlare, a non tagliarsi la testa per una parola. Ascoltare, discutere in modo maturo. Questa è una grazia di cui abbiamo bisogno tutti noi per andare avanti. Ed è qualcosa che la Chiesa oggi offre al mondo, un mondo tante volte così incapace di prendere decisioni, anche quando in gioco è la nostra stessa sopravvivenza».
«Per questo oso chiedere aiuto a voi, maestri di giornalismo: aiutatemi a raccontare questo processo per ciò che realmente è, uscendo dalla logica degli slogan e di racconti preconfezionati. No, la realtà. Qualcuno diceva: ‘L’unica verità è la realtà’. Sì, la realtà. Ne trarremo tutti vantaggio e, ne sono certo, anche questo ‘è giornalismo’!», conclude.