Guerra in Ucraina: perché Papa Francesco non è ancora andato a Kiev?
Il Pontefice ha più volte espresso il desiderio di visitare la “martoriata Ucraina”. L’invito da parte della autorità locali è arrivato e anche Mosca si è detta pronta a dialogare col Papa. Ma allora perché Francesco non è ancora andato a Kiev?
Kiev e Mosca. Nell’agenda della diplomazia pontificia sono queste le due città più attenzionate. Dall’inizio della guerra che ha sconvolto il Vecchio Continente, gli occhi del Vaticano (e di Papa Francesco) non hanno smesso di osservare (e, a modo loro, di intervenire). Un esempio ne sono le telefonate avvenute nelle prime settimane di conflitto tra il Pontefice e il presidente Zelensky. O il colloquio avvenuto nell’ambasciata russa tra il Santo Padre – che dolorante per il ginocchio lasciò il Vaticano – e l’ambasciatore di Mosca presso la Santa Sede durante il quale lo stesso Bergoglio si disse disponibile a fare da mediatore tra le parti.
E ancora: gli aiuti umanitari inviati alla popolazione (con tanto di Elemosiniere Apostolico rimasto coinvolto in una sparatoria), o i continui appelli per la pace. L’ultimo pronunciato al termine dell’Angelus di ieri: “Rimaniamo sempre vicini ai nostri fratelli e sorelle della martoriata Ucraina. Vicini con la preghiera e con la solidarietà concreta. La pace è possibile! Non rassegniamoci alla guerra”.
“La pace è possibile”. La ritirata di Mosca da Kherson e l’apertura del Cremlino al dialogo col Vaticano e gli Stati Uniti lasciano intendere che i negoziati, almeno per giungere a una tregua, siano vicini. “La pace è possibile”. Francesco lo sta ripetendo da mesi. Eppure, una domanda sorge spontanea: perché il Papa non va a Kiev? Del resto, lo ha detto lui stesso: “Mi piacerebbe andare”. E allora perché ancora non lo ha fatto?
E’ vero, la volontà del Santo Padre di visitare la “martoriata Ucraina” c’è, come l’invito ufficiale arrivato dalla autorità locali. Ma la questione è molto più complessa. E il motivo per cui Francesco non è ancora andato a Kiev, dove lo attende la gente comune, lo ha spiegato lui stesso: “Non posso fare nulla che metta a rischio obiettivi superiori, che siano la fine della guerra, una tregua o, almeno, un corridoio umanitario. A cosa servirebbe che il Papa vada a Kiev se il giorno seguente la guerra continuasse?”.
Parole, quelle dette in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino “La Nacion” ad aprile, che restano valide ancora oggi. Del resto, lo aveva detto già sul volo di ritorno dal Viaggio Apostolico da Malta: “La mia disponibilità ad andare a Kiev c’è. È lì sul tavolo, l’idea c’è. Ma non so se si potrà fare, se è conveniente farla o non farla, o se devo farla. È nell’aria. Ma vediamo”.
“La pace è possibile”. Ed è per questo che nella mente del Papa c’è ora un’altra idea: “La prima cosa è andare in Russia per cercare di aiutare in qualche modo, ma mi piacerebbe andare in entrambe le capitali”. “Resta solo da capire il ‘quando’”. Ora che Mosca si è detta pronta al dialogo quel “quando” potrebbe essere imminente. O quasi. L’invito ufficiale da parte delle autorità russe, infatti, non è ancora arrivato e Bergoglio sta spingendo tutti gli sforzi della diplomazia pontificia in questa direzione: prima Mosca, poi Kiev, nello stesso Viaggio Apostolico. “La pace è possibile”. “Resta solo da capire il quando”.