Caso Orlandi: quando il metodo “buttiamola in caciara” non aiuta

La giustizia vaticana si “sveglia” dopo 40 anni ma tra accuse poi smentite, chiarimenti e qui-pro-quo la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sembra ancora lontana.

“Piena verità, senza riserve”. L’imperativo arriva dal Papa in persona. Ma sul caso Orlandi le ombre, più che dissiparsi, sembrano addensarsi. Ma andiamo con calma: pochi mesi fa, a poco meno di quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, il Vaticano decide – a sorpresa – di riaprire le indagini sul caso. La decisione, come ha spiegato il Promotore di Giustizia vaticano, Alessandro Diddi, è stata presa direttamente dal Pontefice.

Stando a quanto raccontato da Diddi, Oltretevere vi era un fascicolo contenente tutte le denunce fatte dalla famiglia Orlandi, oltre a diverse altre cartelle: “Ho ritenuto di far confluire in un unico fascicolo tutte le informazioni reperite avendo compreso la rilevanza del materiale che avevo a disposizione”, le parole del “procuratore” a il Corriere della Sera. Da qui anche la decisione di ascoltare, per la prima volta, il fratello Pietro. In quarant’anni, infatti, mai il Tribunale della Santa Sede lo aveva convocato.

Le parole su Papa Wojtyla

E fin qui, a parte una giustizia che si “sveglia” in ritardo, nulla di strano. La “caciara” arriva dopo l’incontro tra Pietro Orlandi e Diddi. Durato quasi otto ore, dell’esito di quell’incontro si conosce il contenuto così come lo racconta il fratello di Emanuela alla trasmissione televisiva “Di Martedì”. Tutto quello che aveva in mano, anche “materiale scomodo” per la Santa Sede, viene messo sulla scrivania del Promotore di Giustizia. E in diretta tv, tra le risate, parte anche quella che, nemmeno troppo velatamente, sembra essere a tutti gli effetti una calunnia: Papa Wojtyla, Pontefice regnante all’epoca della scomparsa, la sera usciva in incognito dal Vaticano con altri preti “e non di certo per andare benedire delle case”.

Questo perché, secondo un audio fornito da uno fonte anonima, un esponente della Banda della Magliana (fin dall’inizio della vicenda si è sospettato di un collegamento fra la malavita romana e la sparizione della ragazza) afferma che il Papa andava in giro per la Capitale, di notte, accompagnato da altri monsignori, alla ricerca di ragazze con cui divertirsi.

Una precisazione a questo punto è d’obbligo: non tutto il materiale che il fratello ha consegnato al Tribunale Vaticano sembra essere verificabile, o comunque attribuibile a qualcuno. Diverse sono infatti le segnalazioni anonime, come fu la lettera secondo la quale Emanuela sarebbe stata sepolta sotto una specifica tomba, “quella dove indica l’angelo”, nel Camposanto Teutonico in Vaticano. Quella tomba fu aperta ma all’interno non furono trovati i resti della ragazza, bensì ossa “troppo antiche” per essere quelle della Orlandi.

Tra l’altro, se vi è un’indagine in corso, per evitare che un qualunque colpevole possa fuggire o trovare il modo di nascondere meglio le sue malefatte, i particolari, i dettagli, le prove, gli indizi, non vanno certo rivelati in prima serata. In Italia vi è una legge che vieta tutto ciò. La legislazione vaticana è diversa, ma il principio, in linea generale, dovrebbe valere lo stesso.

“Piena verità, senza riserve”. Ma la verità, soprattutto in tribunale, deve essere provata. Affermare che il Papa si divertiva di notte con delle ragazzine in prima serata per sentito dire non è certamente un bel modo di ricercare la verità.

L’audio dell’amico di De Pedis

L’audio in questione con le accuse a Papa Wojtyla venne svelato a dicembre 2022 dal giornalista Alessandro Ambrosini, fondatore del blog Nottecriminale.new. A parlare, come confermato da Pietro Orlandi, è l’ex testaccino della Banda della Magliana Marcello Neroni, una conversazione registrata da Ambrosini nel 2009 ma a lungo non divulgata, vista anche la pesantezza delle accuse nei confronti del Vaticano.

Ma chi è Neroni? Oggi ultraottantenne, era considerato un esponente del gruppo dei testaccini, a sua volta diviso tra chi faceva capo a ‘Renatino’ De Pedis (la cui tomba si scoprì essere nella basilica di Sant’Apollinare, luogo dal quale sparì Emanuela Orlandi, ndr) e chi a Danilo Abbruciati. Lui era un uomo di De Pedis, di cui sarebbe stato socio in una società di slot machine. Venne arrestato nell’ambito dell’operazione Colosseo, la prima maxi retata contro il gruppo criminale romano. Proprio il regista di quel blitz, il giudice Otello Lupacchini, dopo aver ascoltato l’audio, aveva raccontato al Riformista di aver riconosciuto la voce di Neroni: “E’ un individuo compromesso con la Banda della Magliana con la vocazione del delatore. Dunque trait d’union fra il sodalizio delinquentesco e i Servizi”.

Le parole di don Stanislao

Del resto il cardinale Stanislao Dziwisz, ex segretario personale di Giovanni Paolo II, ha definito quelle parole “ignobili affermazioni criminali”, aggiungendo: “Suddette insinuazioni che si vorrebbero all’origine scaturite da inafferrabili ambienti della malavita romana, a cui viene ora assegnata una parvenza di pseudo-presentabilità, sono in realtà accuse false dall’inizio alla fine, irrealistiche, risibili al limite della comicità se non fossero tragiche, anzi esse stesse criminali”.

Per il porporato, un “crimine gigantesco è stato fatto a Emanuela e alla sua famiglia, ma criminale è lucrare su di esso con farneticazioni incontrollabili, volte a screditare preventivamente persone e ambienti fino a prova contraria degni della stima universale. Come segretario particolare del Papa Giovanni Paolo II posso testimoniare, senza il timore di smentite, che fin dal primo momento il Santo Padre si è fatto carico della vicenda, ha agito e fatto agire perché essa avesse un felice esito, mai ha incoraggiato azioni di qualsiasi occultamento, sempre ha manifestato affetto, prossimità, aiuto nei modi più diversi alla famiglia di Emanuela. A questi atteggiamenti io continuo ad attenermi, auspicando correttezza da parte di tutti gli attori e sperando che l’Italia, culla universale del diritto, saprà con il suo sistema giuridico vigilare sul diritto alla buona fama di chi oggi non c’è più, ma che dall’alto veglia e intercede”.

Il chiarimento del legale

A stretto giro è arrivato un “chiarimento” da parte della legale di Pietro Orlandi, Laura Sgrò, che da tempo affianca il fratello di Emanuela in questa battaglia. L’avvocato replica così alle parole del cardinal Dziwisz: “Non ha inteso formulare accuse nei confronti di alcuna persona, lo ha ribadito al Promotore, lo ha anche scritto in una memoria che ha depositato durante la sua deposizione. Ha chiesto solo che la ricerca della verità non abbia condizionamenti”.

Pietro Orlandi ha ritenuto, accogliendo l’invito del Santo Padre di volere fare piena luce sulla vicenda, di condividere con gli inquirenti tutte le informazioni in suo possesso. Tutte, nessuna esclusa. In quest’ottica ha messo a disposizione del Promotore di Giustizia quanto di sua conoscenza, anche i fatti più scomodi, appresi nel corso degli anni, lasciando ovviamente agli inquirenti le valutazioni e gli approfondimenti necessari per verificarne la fondatezza. Spiace – ha aggiunto l’avvocato – che alcune persone abbiano estrapolato qualche frase manipolando il quadro complessivo delle sue dichiarazioni. Spiace, altrettanto, che, tra coloro che lo accusano a mezzo stampa di ledere la memoria di chi non c’è più, vi sia anche chi, contattato negli anni numerose volte dal Signor Orlandi, si sia sempre sottratto a un confronto autentico e sincero con lui. La ricerca della verità è un atto di coraggio e il Santo Padre ha manifestato di volere percorrere con forza questa strada. L’augurio è che questo atto straordinario, ma doveroso, non appartenga solo a Sua Santità”.

In altre parole, qualcuno ha capito male. E a controreplicare è la Santa Sede stessa, tramite un editoriale dell’Osservatore Romano, l’organo ufficiale d’informazione del Vaticano. Meglio tardi che mai, visto che ultimamente la linea editoriale della Santa Sede sia solo quella del silenzio sulle vicende che tengono banco nell’opinione pubblica. Del resto anche questo editoriale sembra un rimpasto delle parole pronunciate dal cardinal Dziwisz.

Morale della favola? Il Vaticano – quasi sempre – tace, i protagonisti della vicenda parlano e, complice una stampa a tratti poco professionale e a tratti orfana di una comunicazione seria e diretta da parte dell’Istituzione, scrive la qualunque. Il risultato è una gran caciara (a questo punto i complottisti penseranno che è stata voluta da qualcuno per proteggere chicchessia) che di certo non aiuta a capire cosa sia esattamente accaduto quell’afoso pomeriggio di quarant’anni fa quando Emanuela sparì senza lasciare traccia dal centro di Roma.

Bergoglio in difesa di Giovanni Paolo II

E all’indomani dello scontro tra il Vaticano e l’avvocato di Pietro Orlandi, interviene Papa Bergoglio. “Certo di interpretare i sentimenti dei fedeli di tutto il mondo, rivolgo un pensiero grato alla memoria di San Giovanni Paolo II, in questi giorni oggetto di illazioni offensive e infondate”, dice il Pontefice al termine del Regina Coeli.

E sui social, Pietro Orlandi risponde alle parole del Pontefice: “È giusto che Papa Francesco abbia difeso Wojtyla dalle accuse fatte attraverso un’audio reso pubblico lo scorso 9 dicembre. Per questo motivo ho deciso di depositare quell’audio al promotore di giustizia Alessandro Diddi, lo scorso 11 aprile affinché convocasse Marcello Neroni, autore di queste accuse”. “Certamente – aggiunge – non può spettare a me dire se questo personaggio abbia detto il vero oppure no. Diddi ha accolto questa mia richiesta, insieme alle altre, promettendo che avrebbe scavato a fondo ogni questione, compresa questa. Io, tantomeno l’avvocato Sgrò, abbiamo mai accusato Wojtyla di alcunché come qualcuno vorrebbe far credere. L’unico nostro intento è quello di dare giustizia a mia sorella Emanuela e arrivare alla Verità qualunque essa sia”.

Anche l’avvocato Sgro, contattata dall’Adnkronos, rimarca le parole del suo assistito: “Ieri sono stata chiamata in Vaticano per Emanuela, non per Giovanni Paolo II. Nessuno mi chiesto di Giovanni Paolo II. Non è mai stato nominato dal Promotore durante il nostro brevissimo colloquio. Non risulta nel verbale, non è mai stato oggetto di conversazione”.

“Quando sono uscita ho scoperto che sarei stata reticente su fatti che lo riguardano. Ma come si fa a essere reticenti su qualcosa di cui non si è parlato? Non ho mai messo in discussione la Santità di Giovanni Paolo II – sottolinea -, come legale di Pietro Orlandi abbiamo messo a disposizione degli inquirenti quello che sapevamo. Nel rispetto della mia posizione di avvocato, sono disponibile a un colloquio. Abbiamo chiesto chiarezza” conclude Sgrò.