No, Pio XII non “spalancò le ali” dopo le bombe su San Lorenzo

Pio XII durante il bombardamento di Roma ha sì aperto le braccia davanti ai romani, ma non il 19 luglio del 1943. E non nel martoriato quartiere di San Lorenzo

Roma – “Cadevano le bombe come neve il 19 luglio a San Lorenzo. Sconquassato il Verano dopo il bombardamento. Tornano a galla i morti […] Oggi pietà l’è morta”. Le parole scritte da De Gregori ben descrivono quanto provarono i romani nell’estate del 1943, quando Roma, la Capitale del Regno d’Italia, vive una delle pagine più buie della sua storia. Quasi trecento bombardieri pesanti quadrimotori Boeing B-17 Flying Fortress e Consolidated B-24 Liberator dell’aviazione americana sganciano sulla città eterna migliaia di bombe.

Erano secoli che la Caput Mundi non veniva “attaccata”. In quell’estate di oltre ottant’anni fa, circa 1.060 tonnellate di materiale esplosivo colpiscono i quartieri del Tiburtino, del Prenestino, del Casilino, del Labicano. Ma anche del Tuscolano e del Nomentano. Il più colpito è quello di San Lorenzo, dove assieme ai monumenti secolari, e al Cimitero del Verano, vengono cancellate migliaia di vite umane.

Il bilancio delle vittime è raccapricciante. In tutta Roma si contano 3 mila morti e 11 mila feriti, di cui 1.500 morti e 4 mila feriti nel solo quartiere di San Lorenzo. Ed è proprio qui, nella ferita più profonda che la città di Roma abbia mai sofferto nell’arco di decenni, si compie una visita inaspettata.

Pio XII, senza preavviso, lascia il Vaticano per abbracciare i romani che scavano tra le macerie. Il Papa raggiunge il quartiere di San Lorenzo senza scorta, a bordo di una Mercedes nera. Ad accompagnarlo ci sono monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, e il conte Pietro Enrico Galeazzi.

Il Pontefice porta aiuti e conforto al suo popolo, quello della Diocesi di Roma, brutalmente assassinato dalla follia della guerra. Dal piazzale del Verano benedice la folla, intonando il “De profundis”, un salmo penitenziale che la Chiesa usa per ricordare i defunti, quasi supponendo che sia il defunto stesso che lo reciti nel passaggio dalla vita terrena alla vita eterna. Lo fa inginocchiato su una collina di macerie di almeno tre metri. Attorno a lui centinaia di persone.

Distribuisce personalmente agli sfollati generi di sostegno e denaro. Secondo i racconti dell’epoca è monsignor Montini a tirare fuori dal risvolto di un soprabito un grosso pacco di denaro da mille lire. Lo porge al Papa che poi consegna ad un sacerdote, incaricandolo di distribuirle sul sagrato di quella che, fino a qualche ora prima, era la basilica di San Lorenzo fuori le mura.

Ma quel Papa che “la mattina da San Pietro uscì tutto da solo fra la gente”, “in mezzo a San Lorenzo” non spalancò le ali”. La visita papale improvvisata viene immortalata dai cronisti e dai fotografi dell’epoca. Ma non vi è traccia nei racconti di questo gesto il 19 luglio. Nella memoria collettiva, l’immagine più emblematica di quella giornata è però la foto di Pio XII a braccia aperte attorniato dai fedeli. Una foto toccante che, tuttavia, è un “falso storico”. O almeno in parte. Eugenio Pacelli, infatti, in quell’estate di bombardamenti su Roma, ha sì spalancato le braccia, ma non il 19 luglio. Quel gesto, il Pastor Angelicus, lo compirà quasi un mese dopo.

Il 13 agosto dello stesso anno le bombe degli alleati cadono nuovamente sull’Urbe. Ad essere colpiti sono i quartieri del Tuscolano e del Prenestino. E Pio XII, ancora una volta, esce dalle mura leonine per far visita alla sua gente. Ed è in questa occasione, davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma, che il Pontefice spalanca le braccia. “Sembrava proprio un angelo con gli occhiali”.

Un gesto spontaneo che racchiude in se significati profondi. Eugenio Pacelli, romano, distende le braccia come Cristo in croce, quasi a voler unire le sofferenze dei romani a quelle del Redentore, a cui è dedicata la Cattedrale del Laterano dove compie il gesto (il titolo infatti è Arcibasilica Papale del SS.mo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, ndr.). Come il colonnato del Bernini che incornicia piazza San Pietro e si estende ed entra nel cuore della città eterna, così le sue braccia spalancate abbracciano tutta Roma.

Il motivo per cui la foto scattata al Laterano viene accomunata al bombardamento del luglio 1943, e non a quello di agosto del medesimo anno, è la censura fascista. Il regime, infatti, fino al 25 luglio riesce a mantenere un gran controllo sulla stampa. L’uscita di Pio XII (dalla breccia di Porta Pia in poi il Papa lasciava il Vaticano solo in rarissime occasioni, bisognerà attendere Giovanni XXIII per abituarsi all’idea di un Pontefice “viaggiatore”) mentre Mussolini era a Feltre per un incontro con Hitler e il re Vittorio Emanuele si rifugiava nelle cantine del Quirinale per paura, non viene vista di buon occhio dal governo.

La documentazione fotografica viene quindi vietata. Ma il 13 agosto né il re né il duce sono nella Capitale. Il regime inizia a perdere lentamente il proprio potere di influenza sulla stampa e lo scatto inizia a circolare fino ad essere predatato. A precisare la data della celebre immagine, come riportato da Famiglia Cristiana, è il Centro di documentazione dei cimiteri storici all’ingresso del Verano, dove oggi si trova la statua del Pontefice che ricorda quel terribile evento.

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