Tra i seminaristi della Papua Nuova Guinea in attesa del Papa: “Che cosa vuole Dio da me?”

Ci sono gioia e tante aspettative tra i giovani seminaristi della Papua Nuova Guinea: tra pochi giorni incontreranno Papa Francesco. E mentre fremono gli ultimi preparativi per questo incontro, c’è una domanda che continua a riecheggiare nelle loro menti: “Che cosa vuole Dio da me?”

Port Moresby – “Che cosa vuole Dio da me?”. Ci sono gioia e tante aspettative tra i giovani seminaristi della Papua Nuova Guinea: tra pochi giorni incontreranno Papa Francesco. E mentre fremono gli ultimi preparativi per questo incontro, c’è una domanda che continua a riecheggiare nelle loro menti: “Che cosa vuole Dio da me?”.

Nella comunità del Seminario maggiore intitolato allo “Spirito Santo”, fondato a Port Moresby nel marzo del 1963 e pochi anni dopo spostato a Bomana (a dodici chilometri dalla Capitale), questa domanda funge anche da bussola.

“Entrare in seminario non era proprio quello a cui stavo pensando quando completai il mio ciclo di studio – racconta all’Agenzia Fides il seminarista Mathew Gona, dell’Arcidiocesi di Rabaul –. Puntavo a diventare un insegnante o un manager d’affari”. È stato un incontro a scombussolare tutti i piani: “Conoscere padre Michael P. Cornelius Gaga è stato un grande cambiamento nella mia vita. Mi colpì il suo modo di vivere, la sua personalità, il suo carattere. Quell’incontro mi ha fatto chiedere ‘Che cosa vuole Dio da me?’. Fino a quel momento infatti mi ponevo la domanda sbagliata: ‘Che cosa voglio?’”.

Mathew inizia a riflettere seriamente sul suo percorso: “Maturo la scelta di entrare in seminario, che è l’esatto opposto di quello che volevo fare. Ne parlo con i miei genitori che mi hanno subito sostenuto e incoraggiato su questa strada”.

Anche per il seminarista Jeffrey Ossom, della Diocesi di Madang, c’è un incontro alla base della scelta di diventare prete: “Vivevo le attività parrocchiali, frequentavo gruppi giovanili. Ammiravo il mio parroco, è lui che mi ha ispirato: vedere come vive la sua vocazione, la sua presenza tra la gente, sempre disponibile a dare aiuto e consigli, le parole delle sue omelie… Questo ha fatto nascere in me il desiderio di essere un giorno un sacerdote come lui”.

Parlando con i seminaristi ci si accorge che quella domanda, “Che cosa vuole Dio da me?”, arriva come un fulmine a ciel sereno nei momenti più impensabili: “Ero a scuola nel 2011 quando decisi di entrare nel ‘Club vocazionale’ del mio istituto – racconta a Fides Jacob Tumun, della Diocesi Mt. Hagen –. Decisi di dare l’esame per l’ammissione al seminario prima di concludere il percorso di studi e il giorno della mia laurea arriva la notizia: esame superato. Entrai però nel seminario minore l’anno successivo: ho pregato ogni giorno chiedendo a Dio: ‘Che cosa vuoi da me?’ perché nonostante i buoni voti nessuno mi assumeva. Alla fine ho capito che il suo progetto era un altro e nel 2014 entrai nel seminario minore a Kap”.

Le storie di Jeffrey, Mathew e Jacob, sono simili sotto molti aspetti, nonostante ciascuno provenga da parti diverse della nazione: se a ognuno di loro si domanda “Chi ti ha trasmesso la fede?”, la risposta che arriva all’unisono è: “Mamma e papà”. “Le prime preghiere che ricordo di aver imparato da loro – racconta Mathew – sono state il segno della croce, l’Ave Maria e una preghiera da recitare prima di andare a dormire in pidgin che è la mia lingua madre”. “Mia mamma mi fece battezzare – ricorda Jacob – ma la mia fede è fiorita grazie ai miei nonni e ai catechisti”.

Nelle loro vite, centrale è stato anche il ruolo dei missionari: “Grazie a loro ho trovato il mio modo di ragionare”, sottolinea Jeffrey. Anche per Jacob i missionari hanno svolto un ruolo significativo nella sua formazione: “Sono stato battezzato da uno di loro, la Prima Comunione la ricevetti da un missionario polacco. Anche la scuola che ho frequentato era gestita dai missionari”. “Sono cresciuto in una parrocchia curata dai missionari, il mio parroco era un missionario tedesco. Se guardo indietro – racconta Mathew – fu proprio lui a gettare una solida base della mia fede e della mia vocazione. Se oggi sono quello che sono è grazie a missionari come padre Meinard che ha fatto un lavoro enorme e instancabile nella costruzione della mia fede cattolica”.

Una fede che ora, con il Viaggio Apostolico, sarà confermata dal Papa: “Dall’incontro col Papa mi aspetto sì la conferma della fede ma anche il desiderio di essere sempre unito a Gesù. Voglio seguirlo in questa vita come sacerdote – continua Mathew –. Sarà un momento di grazia per me che approfondisco la mia vita continuando a domandarmi ‘Che cosa vuole Dio da me?’”.

Le stesse aspettative sono anche nel cuore di Jeffrey: “Sarà come un padre che mette la mano sulla spalla del figlio quando è in difficoltà dicendo: ‘Io sono qui, puoi farcela’. La visita di un Papa dopo quasi trent’anni è una grande gioia e una grande benedizione per noi. Nelle sue parole e nei suoi gesti troveremo nuova linfa per andare avanti”.

Per Jacob, invece, la due giorni di Papa Francesco in Papua Nuova Guinea potrà essere l’inizio “di nuovi e molti cambiamenti, spirituali e morali, nel Paese. O almeno è quello che mi auguro, così come spero che possa presto essere canonizzato il beato To Rot così da rafforzare la fede del nostro popolo”.

Dopo la gioia dell’incontro e della festa bisognerà tornare a studiare sui banchi: Mathew è affascinato dalla liturgia, Jeffry dall’esegesi biblica, Jacob dalla sacramentaria. La vera sfida inizierà quando saranno ordinati sacerdoti: “Voglio dedicare la mia vita stando accanto ai poveri, agli orfani, alle vedove e a quelli che vivono lontano per portare loro la bellezza dell’annuncio del Vangelo”, dice Mathew.

Anche Jeffry vuole “sporcarsi le mani” per essere presente “tra la gente ed essere loro compagno nel cammino di fede, imitando così il mio parroco che ha ispirato questa mia vocazione”. Jacob, invece, sogna di essere un guaritore di anime: “Voglio essere, sforzandomi, un confessore, perdonare i peccati e diventare formatore nel seminario della mia Arcidiocesi”.

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