Requiescat in Soviet (parte prima)

Foto di una riunione del Soviet di Peitrogrado nel 1917.

Mihail Sergeevic Gorbaciov nacque il 2 marzo del 1931 a Privol’noe nel Caucaso settentrionale.

In linea con la tradizione di molti leader sovietici, proveniva da territori del Bacino del Volga o da zone integrate con esso ed era espressione culturale di una realtà industriale nata alcuni decenni dopo l’Ottobre Rosso del 1917 e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Nel periodo tra una laurea in Giurisprudenza, completata nel 1955, e una in economia agricola (1967) entrò a far parte del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) scalando rapidamente le gerarchie locali negli anni ’70 e diventando un esponente di spicco dell’ala riformista a partire dal 1979.

Forte della vicinanza ad Andropov (eletto Segretario Generale nel 1982), della percezione interna al partito di Breznev come leader eccessivamente conservatore e di una supposta necessità di riforma profonda, Gorbaciov salì al potere nel 1985, alla morte del suo supervisore Konstantin Cernenko.

Nemmeno un anno dopo il disastro di Chernobyl fece capolino sottoponendo la gerarchia sovietica ad una crisi di immagine senza precedenti.

Tuttavia, anche senza un simile colpo, la solidità delle istituzioni dell’URSS aveva iniziato a sgretolarsi inesorabilmente da molto prima, agli inizi del 1970.

Una situazione già degradata da tempo

Leonid Brezhnev fu eletto presidente nel 1964, poco dopo la distruzione della rispettabilità dell’allora Segretario Generale Nikita Crusciov con il fallimento della Crisi di Cuba. Parafrasando dal burocratese sovietico, la realtà fu che Brezhnev aveva tessuto trame per la detronizzazione del suo capo almeno a partire dagli inizi del 1960, inoltre il parziale fallimento del tentativo di scacco ai danni degli USA fu causato da un tradimento interno al KGB (all’allora GRU per essere precisi) e non dall’incapacità di Crusciov.

Quest’ultimo finì, in realtà, per impostare il dialogo con gli USA in modo corretto: né troppo amici, né troppo nemici, ma decisamente in competizione e in guerra in modo clandestino.

Perciò, sebbene Crusciov avesse ottenuto la rimozione dei missili USA Jupiter dal territorio turco in cambio della rimozione di quelli sovietici da Cuba, Brezhnev sfruttò il malcontento per prendere il posto del predecessore e, in linea con il tentativo di recuperare un supposto smacco, raddoppiò gli sforzi nella corsa agli armamenti come anche per le attività clandestine cestinando ogni possibile intesa.

In tutto questo le attività insurrezionaliste all’interno degli stati satelliti sovietici (particolarmente quelli del Patto di Varsavia) diventavano sempre più comuni richiedendo periodiche repressioni politiche nel 1956, 1968 e dal 1970 fino all’emersione del sindacato polacco Solidarnosc nel 1980 ed oltre.

La realtà economica era di stagnazione generalizzata attraverso tutta l’Unione Sovietica e garantiva ai punti nevralgici (capitali nazionali ed industriali) dell’impero comunista la possibilità di godere di una qualità di vita accettabile ed un livello di sviluppo tecnologico carente ed esclusivo a realtà elitarie. Il resto dell’URSS doveva cavarsela con il graduale collasso della dimensione demografica accompagnato da periodiche carestie diffuse derivanti dalla gestione ferrea delle catene di produzione agricole e industriali che caratterizzava la burocrazia di Mosca.

Gli investimenti di Brezhnev in tecnologie militari, mezzi di sorveglianza, spionaggio, i tentativi di rinnovare ed aggiornare i veicoli dei vari rami delle forze armate furono chiaramente l’ultimo chiodo nella bara di un impero che vide la sua classe dirigente ignorare allegramente il concetto stesso di iper-estensione geografica ed il peso di sostenere economicamente un simile gigante. L’invasione dell’Afghanistan a fine anni ’70 fu l’ultimo errore strategico di una lunga serie e accelerò tendenze già irrefrenabili.

Gli Americani dal canto loro, oltre a possedere una serie di vantaggi geopolitici senza precedenti per via della conformazione territoriale degli Stati Uniti ed una cultura imprenditoriale, avevano fatto quello che la leadership sovietica aveva più volte rifiutato, ovvero allocare risorse sul rinnovamento delle infrastrutture e riformare ripetutamente il mercato del lavoro e le regolamentazioni sull’impresa.

Pur soffrendo di una sostanziale mancanza di profondità strategica a causa della tipica moralità protestante, che caratterizzò molta della politica estera statunitense, gli USA finirono per barcamenarsi, seppur consapevoli della suscettibilità del loro modello economico e culturale ai rischi di infiltrazione. Questo problema in particolare ossessionò le èlite federali per tutta la guerra fredda, sfociando in alcuni casi nell’aperta paranoia (esempio fu il Maccartismo post Seconda guerra mondiale) riguardo la manipolazione di figure interne all’amministrazioni presidenziali.

Tali paranoie si dimostrarono in alcuni casi decisamente fondate, ma in sostanza esagerate, come nel caso della cellula dormiente Albrecht Dittrich, divenuto poi il cittadino USA Jack Barsky, che avrebbe dovuto influenzare le politiche del Presidente Carter tramite l’importante consigliere polacco Zbigniew Brzeziński.

Inutile dire che il secondo aderiva religiosamente al detto americano “meglio morto che Rosso”, l’infiltrato faticò ad entrare in contatto e fu catturato prima di poter costruire un rapporto di fiducia.

Aneddoti di questo tipo furono in realtà comuni nel corso dei decenni per quanto il loro numero abbia finito per essere veramente rilevante solo nella seconda fase della Guerra Fredda, dimostrando come dopotutto le paranoie del controspionaggio americano potessero essere ragionevoli tra il 1945 e l’inizio degli anni ’60 (il Progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica USA fu infatti molto compromesso garantendo all’URSS di Stalin un vantaggio pesante nello sviluppo dei vettori e missili balistici con testata).

Tuttavia, entro il 1969 i sottomarini di Washington avevano già superato le difese e i sonar vicino ai corsi d’acqua del Volga, come anche in altre regioni strategicamente sensibili, avvicinandosi a sufficienza al cuore pulsante dell’entroterra industriale sovietico e mappando i fondali in quello che suggellò definitivamente la categorizzazione dell’URSS come un gigante dai piedi d’argilla.

Sebbene quest’ultima rimanesse capacissima di rovesciare governi e riplasmare la cultura di un paese (sia anche solo per renderla disfunzionale all’estremo) tramite KGB, servizi segreti degli stati satellite (tra cui in particolare il dipartimento di controspionaggio della Stasi: l’HVA della Germania dell’est) e le cosiddette “misure attive”.

Fine della parte prima, leggi “Requescat in Soviet (parte seconda)“.