L’ombra della Russia si allarga
È un’anomalia non da poco…ammesso si tratti di un’anomalia.
L’accordo tacito tra Mosca e Tel Aviv riguardo i rapporti interforze sui campi di battaglia sensibili è sempre stato uno di “non ingaggio”, ovvero finché tu non attacchi me io non attacco te.
Gli eventi del 13 maggio hanno sicuramente messo in discussione questa intesa in un momento tutt’altro che propizio.
Con le elezioni libanesi conclusesi in uno stallo cresce il rischio latente di vedere Teheran ed Hezbollah, pur di rimanere a galla politicamente, avviare uno sforzo congiunto alle altre forze regionali legate all’Iran contro Israele, fiondando il Levante in un ennesimo conflitto regionale.
Un rapporto complicato
La politica anti-Jihad (da non confondere con la “Counter Jihad”) è sempre stata un caposaldo di Mosca fin dai tempi della prima guerra di Cecenia (se non quella in Afghanistan) anche a seguito della consapevolezza russa di non volersi confrontare con realtà politiche interne talmente atomizzate da non sapere nemmeno a chi mettere in mano la gestione di territori di confine. Nello specifico il timore era che le classiche guerre di conquista o per procura che colpirono il Grande Medio Oriente alla fine della guerra fredda e dopo il crollo dell’URSS avrebbero finito per creare una dimensione così settaria della politica locale da portare all’impossibilità di gestire regioni che il Cremlino vede come suoi ventri molli: Caucaso ed Asia Centrale.
I Russi non erano e non sono giocatori innocenti, tenendo conto dell’immagine più ampia ma a seguito del collasso economico post 1991 si sono ritrovati con opzioni limitate ed un estero vicino spesso alla mercè di altri giocatori.
Proprio in quest’ottica si sono reinseriti gli Israeliani che, dopo la Guerra di Suez del 1956 e gli accordi di Camp David nel 1978, avevano messo il rapporto con Mosca in secondo piano favorendo quello con Washington (spesso e volentieri la cooperazione tra Russia ed Israele si è rivelata ben più profonda di quanto si pensasse anche post 1956 e 1978).
Consapevoli dei loro obiettivi comuni Tel Aviv ed il Cremlino hanno finito per avere rapporti diplomatici e commerciali proficui, particolarmente in relazione alla guerra in Siria ed al traboccamento delle problematiche regionali derivanti dalla Guerra Civile e lo scontro internazionale con Daesh(ISIS).
Gli eventi del 13 maggio sono una chiara rottura, dovuta probabilmente sia alla tensione tra i paesi dell’accordo di Abramo (Israele, EAU, Arabia Saudita) e l’Iran che al raffreddamento dei rapporti israelo-russi, dopo il supporto della prima all’Ucraina.
La Dottrina Primakov prende vita
Proprio in quest’ottica bisogna brevemente fare una serie di passi indietro andando a rivedere ciò che si dà più per scontato riguardo agli interessi russi.
La Dottrina Primakov fu postulata tra il 1996 ed il 1998 a pochi anni di distanza dal crollo dell’URSS ed un occhio attento alla possibilità di riprendere una posizione di preminenza negli ex territori sovietici e sulla scena mondiale.
I suoi obiettivi sono molteplici e vanno dall’indebolimento e distruzione della NATO/UE alla costruzione di zone di commercio simili all’Eurozona per territori come il Caucaso, l’Eurasia centrale, sezioni della Siberia e del Medio Oriente. A gradi diversi questi blocchi commerciali dovrebbero fare affidamento sulla Russia per il mantenimento della propria sicurezza energetica, militare…
Proprio per questo molti hanno spesso fatto l’errore di confondere il dito con la Luna, creando cose come la “Dottrina Gerasimov” (un insieme di indicazioni riguardo l’implementazione e l’uso di tecnologia e tattiche di guerra ibrida per il ventunesimo secolo) che altro non è che l’applicazione dei principi della Dottrina Primakov alla realtà.
Ovvero, la Dottrina Primakov ha preso vita ed analisti, giornalisti e persino funzionari di stato hanno seguito la moda chiamando con il nome sbagliato qualcosa di molto più ampio.
Questo ci riporta alla tensione appena nata tra Israele e Russia.
Come già detto Mosca ha lasciato che Tel Aviv avesse una relativa carta bianca per motivi di carattere storico, economico, di politica estera ed allineamento degli interessi.
Ciò finché c’è stato allineamento, non si è incrinato il fragile equilibrio del Grande Medio Oriente nato dopo la sconfitta dell’ISIS come fenomeno aspirante alla creazione di uno stato e la strana alleanza meditata con gli Accordi di Abramo (Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, forse altri…) non ha iniziato a scalpitare contro i movimenti di un Iran prossimo ad ottenere la bomba nucleare.
Con le elezioni in Libano, paese che dopo la distruzione della sua economia rischia il collasso politico in modo simile a quello della Siria, è iniziato un tipo di corsa completamente diverso.
Con l’obiettivo di difendere l’Iran e far desistere Tel Aviv dall’avviare un’offensiva mirata a distruggere le capacità di Teheran di costruire missili armabili o altri ordigni nucleari portatili da affidare, già più volte discussa e più o meno pubblicizzata dai vertici israeliani, Mosca ha iniziato ad alzare la tensione.
Altri due fattori non periferici sono il tentativo di stabilizzare definitivamente la Siria e quello di trovare una soluzione per la gestione del collasso dell’Afghanistan.
Guerra su larga scala o contenuta?
La morte di uno dei generali più importanti per le operazioni clandestine dell’Iran in Siria è un pessimo segnale indipendentemente da quale angolo lo si voglia vedere ma non è per forza il segnale di una guerra inevitabile che veda coinvolte due delle nazioni più potenti del Grande Medio Oriente.
L’elemento che più può influenzare una possibile offensiva di Israele è la probabilità di una compartecipazione USA, sia anche solo a livello economico, nel conflitto.
In assenza di ciò Tel Aviv ha continuato con la sua strategia di indebolimento della rete terroristica clandestina sostenuta da Teheran tramite sabotaggi ed assassinii in tutta la regione ed in alcuni casi all’interno del territorio della stessa repubblica degli Ayatollah. Uno degli ultimissimi esempi è l’eliminazione di uno dei più importanti generali della Forza Quds al suo ritorno dalla Siria, paese in cui con tutta probabilità stava gestendo l’approvvigionamento di armi e sistemi missilistici da usare in caso di una nuova guerra tra Israele e Libano.
Qui arriviamo al problema fondamentale. Attori da entrambe le parti sono ormai arrivati alla conclusione che uno scontro è inevitabile e la politica di Teheran di voler ottenere la nucleare così da evitare che uno scontro possa portare ad un tentativo di cambio di regime, persuade sempre di più la controparte della necessità di interromperne il progresso per paura di vedere un missile con testata partire dal sud del Libano (Israele), dallo Yemen, dalla Somalia (Arabia Saudita) o da qualche altra regione ospitante milizie filo-iraniane.
In un mosaico che si rivela sempre più difficile da gestire si è inserita Mosca nel tentativo di contenere o far desistere da una possibile offensiva così da garantire la sopravvivenza di un alleato che in realtà nessuno (né la Russia, né la Cina, né gli USA, né molti dei paesi europei) vorrebbe in possesso di Uranio arricchito. A dispetto di quest’ultimo fatto il Cremlino deve però fare tutto quel che può per proteggere l’integrità dell’Iran per paura di vedere l’Eurasia centrale crollare in un abisso ancora più profondo dopo che la sgangherata ritirata USA ha lasciato enormi depositi di armi e mezzi nel cimitero degli imperi: l’Afghanistan.
Infatti, come accennato nel precedente paragrafo, la Dottrina Primakov ha come obiettivo quello di stabilizzare ALMENO la maggioranza dell’estero vicino russo per poi definire rapporti e zone commerciali duraturi. Con l’inevitabile futuro crollo dell’Afghanistan avere l’Iran (il Pakistan ha salutato tempo fa) come unico attore relativamente logico, autonomo e capace di gestire una crisi tra i paesi vicini all’Eurasia centrale è l’ultimo tentativo di salvare la zona dall’instabilità diffusa.
Tuttavia, l’alleanza nata dall’Accordo di Abramo non ha davvero bisogno né della cooperazione degli USA e degli stati europei né tantomeno teme particolarmente le capacità offensive russe.
La prospettiva si conferma quindi quella di una guerra ad oggi sotterranea ma sempre più vicina ad emergere sulla superficie coinvolgendo tutto il Grande Medio Oriente.
L’aspetto positivo di tutto questo è che ormai la popolazione sunnita della regione è consapevole delle reali posizioni iraniane e della tendenza ad infiltrarsi per poi tiranneggiare senza un reale scopo, trasformando lo stato coinvolto in uno strumento dell’economia clandestina controllata da Teheran.
Ciò porterà quasi sicuramente ad un’eliminazione delle milizie filo-iraniane dal territorio siriano con il benestare del regime di Assad, la cooperazione militare dei turchi e la parziale impotenza del Cremlino (che è in realtà diviso al riguardo).
Questo, se avverrà in tempi ristretti senza che Teheran possa contrattaccare, restringerà il terreno di scontro.