Armi, bombe e preghiere: viaggio nelle parrocchie-trincee d’Ucraina

Pareti colorate, un grande crocifisso al centro della sala. Banchi, sedie tavoli con pennarelli, fogli, forbici. Sui muri qualche immagine sacra. A prima vista potrebbe sembrare una sala parrocchiale come tante. Le voci dei ragazzi che riecheggiano però dipingono una situazione ben diversa da quelle a cui siamo abituati. Quelle forbici, quei pennarelli, quei fogli, non servono per realizzare disegni e lavoretti. Non servono per addobbare le stanze. Servono per scrivere sui dei grandi scatoloni il loro contenuto e un “indirizzo”: il fronte.

In Ucraina, dove la guerra mossa dalla Russia non si accenna a placarsi, anche le parrocchie si sono trasformate in “trincee”. Ce lo racconta don Lukas, dei padri mariani. Lui vive a Varsavia, “lontano” dagli echi delle bombe e delle mitragliatrici. Ma i suoi confratelli, che nonostante il conflitto stanno continuando a svolgere il loro ministero proprio lì dove il frastuono delle armi è più forte, lo tengono costantemente aggiornato.

In tutto sono cinque le case-parrocchie dei padri mariani in Ucraina. Una si trova a Kharkiv, tra le città più colpite. “Ogni giorno ci sono bombardamenti: i russi lanciano sempre missili e i cittadini soffrono tanto”. Qui operano padre Nicolai e padre Anatoli: “Non hanno mai lasciato la casa. Anzi, fin dall’inizio della guerra hanno aiutato la gente e i più bisognosi”.

Nel quartiere la parrocchia è diventato un punto di riferimento, soprattutto per chi non ha nulla da mangiare. Quello che più scarseggia, infatti, è il cibo: “Ci chiedono aiuto e noi dalla Polonia – racconta ancora don Lukas – mandiamo ogni mese un camion pieno di aiuti umanitari”. Varsavia, lo ricordiamo, fin dallo scoppio del conflitto, è stata scelta come “centro di smistamento”: tutti gli aiuti umanitari provenienti dall’Europa prima di raggiungere l’Ucraina passano per la capitale polacca. Da lì, poi, raggiungono le città. E i soldati al fronte.

Già, i soldati. Padri, fratelli, amici costretti a imbracciare un fucile: “Ogni giorno a Kharkiv i due confratelli celebrano due messe, una la mattina (trasmessa anche in diretta su Facebook) e una la sera. Si prega molto, soprattutto per chi è al fronte”. Un aiuto, quello che arriva ai soldati, che non è solo spirituale: “Nelle parrocchie si raccoglie anche cibo e medicinali per chi combatte al fronte. All’inizio della guerra i ragazzi della parrocchia realizzavano anche reti mimetiche per i soldati, che poi altro non solo che i loro parenti e amici”.

Le altre quattro case dei padri mariani si trovano una nel centro del Paese, le altre nel sud. E le esigenze qui cambiano: “In questi ultimi giorni tutta l’Ucraina è stata colpita dagli attacchi (aumentati dopo la distruzione del ponte che collega la Crimea alla Russia, ndr.) e per questo motivo sono senza elettricità, gas e acqua corrente. Sono praticamente case senza nulla ma i padri che solo lì cercando soprattutto di dare rifugio a chi, ancora oggi, fugge dall’est. Una casa-parrocchia ospita circa trenta migranti. Molti altri sono stati accolti dai parrocchiani”. Si tratta di persone che si sono viste piovere addosso bombe che hanno distrutto le proprie case. “Adesso un tetto, se pur non definitivo, lo hanno trovato. Quello di cui hanno bisogno però è sempre il cibo”. Cibo che, puntualmente, arriva da Varsavia. “E con l’inverno alle porte la priorità, oltre al cibo, sono indumenti pesanti”.

In queste parrocchie-trincee, oltre alla paura, si respira anche tanta confusione. Il motivo? Le parole, riportate dalla stampa, di propaganda e non, di Papa Francesco e del Patriarca Kirill: “Il Papa – ci racconta ancora Lukas – in Ucraina gode di grande autorità ma dopo alcune sue parole (il riferimento è alla figlia di Dugin, ndr. ) è confusa. Su Kirill, invece, la situazione è diversa: fin dall’inizio la sua reputazione non è cambiata, tutti pensano che sia un funzionario di Putin, un politico più che un religioso”.

In Ucraina, va sottolineato, i cattolici sono una minoranza: sono gli ortodossi la maggioranza. Eppure quella ortodossa è una comunità divisa: “La situazione è complicata – ci spiega don Lukas -. Vi è la Chiesa ortodossa ucraina e quella russa. Tra di loro c’è molta tensione perché la prima, molto patriottica, dice: ‘Siamo ucraini, dobbiamo difenderci’. La seconda, invece, si rifà ai dettami di Mosca. La tensione è tanta e la collaborazione è pari a zero”.

Ma se è vero che i cattolici sono pochi, spiccano “per la loro testimonianza. Anche se la comunità è piccola stanno facendo molto dal punto di vista della carità e della fede”. Cosa ci si aspetta per il futuro? “Che questo incubo finisca presto. Ma dopo tutti questi mesi la speranza si è affievolita ovunque – conclude don Lukas -. I nostri fratelli sono pronti a continuare il loro ministero anche tra le bombe”.