Non solo martiri e missionari: le storie dei nuovi Santi

Domenica 20 ottobre il Papa canonizzerà in piazza San Pietro quattordici beati: ecco chi sono i nuovi Santi e le loro storie

Città del Vaticano – Domenica 20 ottobre, Papa Francesco, durante la solenne Messa in piazza San Pietro proclamerà 14 nuovi Santi. I loro nomi sono: Elena Guerra, fondatrice della Congregazione delle Oblate del Santo Spirito, dette “Suore di Santa Zita”; Manuel Ruiz López e sette compagni, dell’Ordine dei Frati Minori, e Francesco, Mooti e Raffaele Massabki, fedeli laici, martiri; Giuseppe Allamano, sacerdote, fondatore degli Istituti dei Missionari della Consolata e delle Suore Missionarie della Consolata; Marie-Léonie Paradis (al secolo: Virginie Alodie), fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore della Santa Famiglia. Ecco le loro storie.

Gli undici martiri di Damasco

L’evento martiriale che riguarda gli undici Santi si colloca in un contesto di persecu­zione contro i cristiani ad opera dei Drusi sciiti, che a partire dalla primavera del 1860 andò allargandosi dal Libano fino alla Siria. Il 9 luglio 1860 la folla fanatica dei persecutori invase il popoloso quartiere cristiano di Damasco che contava circa 3.800 abitazioni, e diede inizio ad ogni sorta di violenza, avendo previamente chiuso tutte le vie di fuga.

Quella stessa notte, un comando di rivoltosi animato da un radicato odio religioso riuscì a penetrare attraverso una porta nascosta indicata da un traditore, nel convento francescano di San Paolo: qui furono barbaramente trucidati otto Frati Minori – sette di nazionalità spagnola e uno di nazionalità austriaca – e tre cristiani laici maroniti.

Fin dall’epoca dei fatti apparve a tutti evidente che si trattava di una morte martiriale: alle undici vittime, infatti, prima di infliggere brutalmente i colpi mortali, gli aggressori chiesero di rinunziare alla fede cristiana e di abbracciare l’Islam, invito che fu decisamente rifiutato. Si tratta di otto religiosi dell’Ordine dei Frati Minori.

Manuel Ruiz López, superiore del convento, nato nel 1804 a San Martín de las Ollas, Burgos, Spagna. Entrato nel 1825 tra i Frati Minori, fu ordinato sacerdote nel 1830. L’anno successivo fu inviato in Terra Santa ove, dopo aver appreso le lingue locali, svolse un fecondo apostolato. Costretto nel 1847 a tornare in Europa per motivi di salute, ritornò in Terra Santa nel 1858. La notte del­l’eccidio, non appena i rivoltosi penetrarono in convento, corse in chiesa per consu­mare le Specie Eucaristiche, venendo ucciso ai piedi dell’altare.

Carmelo Bolta Bañuls, parroco, nato nel 1803 a Real de Gandía, Valencia, Spagna. Nel 1825 fu accolto tra i Frati Minori e nel 1829 venne ordinato sacerdote. Nel 1831 partì alla volta della Terra Santa dove risiedette nei conventi di Giaffa, Damasco e Ain Karem, nel Santuario della Visitazione. Nel 1851 fu trasferito a Damasco con l’incarico di parroco e insegnante di lingua araba.

Engelbert Kolland, vicario parrocchiale, nato nel 1827 a Ramsau, Salzburg, Austria. Entrò tra i Frati Minori nel 1847 e fu ordinato sacerdote nel 1851. Raggiunse la Terra Santa nell’aprile 1855. Svolse il suo apostolato missionario prima nel convento del Santo Sepolcro, quindi a Damasco, dove fu molto amato dalla popolazione. La notte della strage fu l’unico dei religiosi a morire fuori del convento.

Nicanor Ascanio Soria, nato nel 1814 a Villarejo de Salvanés, Madrid, Spagna. Nel 1830 entrò tra i Frati Minori. A motivo della soppressione religiosa fu ordinato sacerdote nel clero diocesano. Con la riapertura del Collegio per le Missioni di Priego di Cuenca poté rientrare tra i Frati Minori nel 1858. Giunse in Terra Santa nel febbraio 1859 e fu destinato al convento di Damasco. La disponibilità al martirio fu una nota costante della sua spiritualità.

Nicolás María Alberca Torres, nato nel 1830 ad Aguilar de la Frontera, Córdoba, Spagna. Già religioso tra i Fratelli dell’ospedale Jesús Nazareno di Cordoba, fu accolto tra i Frati Minori nel 1856 e ordinato sacerdote nel 1858. Chiamato alla vita missionaria, giunse in Terra Santa nel 1859 e fu destinato al convento di Damasco per l’apprendimento della lingua araba.

Pedro Nolasco Soler Méndez, nato nel 1827 a Lorca, Murcia, Spagna. Dopo alcune esperienze lavorative fu accolto a ventinove anni tra i Frati Minori nel 1856 e ordinato sacerdote nel 1857. L’anno successivo inoltrò richiesta per la missione della Custodia di Terra Santa, ove giunse il 20 febbraio 1859. Destinato al convento di San Paolo a Damasco, vi trascorse poco più di un anno.

Francisco Pinazo Peñalver, nato nel 1802 nel villaggio di El Chopo di Alpuente, Valencia, Spagna. Fu ammesso al noviziato dei Frati Minori nel 1831. Come fratello laico svolse l’ufficio di sagrestano fino al 1835, anno della soppressione religiosa in Spagna. Per poter riabbracciare la vita comunitaria optò per la Custodia di Terra Santa, dove giunse nell’ottobre 1843. Per circa 17 anni esercitò le mansioni di cuoco e di sarto in vari conventi. Nel convento di Damasco, al momento del martirio fungeva da sacrestano.

Juan Jacob Fernández, nato nel 1808 nella località di Moire, Ourense, Spagna. Nel 1831 entrò come fratello laico tra i Frati Minori. Purtroppo, la soppressione del 1835 interruppe per alcuni anni la sua esperienza di vita conventuale. Nel 1858 chiese di essere associato alla Custodia di Terra Santa. Nel 1859 prese stanza nel convento di Damasco in qualità di cuoco.

A loro si aggiungono tre laici Maroniti, fratelli

Francesco Massabki, cristiano maronita, mercante di seta, era ben conosciuto a Damasco e stimato come uomo probo e pio. Sposato e padre di otto figli, tutti educati secondo i valori cristiani, dava ovunque esempio di grande generosità, soprattutto verso i poveri e i bisognosi. Era legato ai frati francescani per i quali fungeva da procuratore. Insieme ai fratelli Mooti e Raffaele si trovava presso il convento di San Paolo nell’ora del martirio.

Mooti Massabki, viveva con la moglie e i suoi cinque figli nella medesima casa del fratello maggiore Francesco. Frequentava quotidianamente il convento di San Paolo, sia per la preghiera che per svolgere l’attività didattica nella locale scuola dei ragazzi. Pronto a versare il suo sangue per Cristo, come insegnava nelle lezioni di catechismo, non esitò ad offrire la sua vita in nome della fede.

Raffaele Massabki, fratello minore di Francesco e di Mooti, celibe, prestava volentieri il suo aiuto ai frati e ai propri familiari; era molto devoto della Madonna e si soffermava a lungo in preghiera nella chiesa del convento. Era ancora presente tra le mura conventuali di San Paolo nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860, quando irruppero i Drusi, dai quali fu ucciso insieme ai suoi due fratelli.

I corpi dei martiri, pietosamente recuperati alcuni giorni dopo la strage, furono sepolti in una tomba comune che, con la riedifi­cazione e la consacrazione della chiesa conventuale nel 1866, divenne meta di devozione da parte dei cristiani di Damasco.

Giuseppe Allamano

Giuseppe Allamano nasce il 21 gennaio a Castelnuovo don Bosco (Italia). Viene educato, nei primi anni, dall’esempio e dalla parola della mamma, Maria Anna Cafasso, sorella minore di San Giuseppe Cafasso. A sei anni, incontra per la prima e unica volta il santo zio, che proporrà come modello di vita ai giovani sacerdoti e ai suoi futuri missionari.

Terminate le scuole elementari nel paese natale, entra all’Ora­torio salesiano di Valdocco (Torino) per completare gli studi ginnasiali; in quattro anni porta a termine gli studi e ha come direttore spirituale, per tutto il periodo, San Giovanni Bosco.

Ordinato sacerdote il 20 settembre 1873 dall’Arcivescovo di Torino, Lorenzo Gastaldi, dopo alcuni mesi di lavoro pastorale a Passerano d’Asti, parrocchia retta da un suo zio sacerdote, passa al seminario diocesano prima come Assistente e poi, a soli 25 anni, come Direttore Spirituale dei chierici.

Nel 1880, l’Arcivescovo di Torino cerca un Rettore per il Santuario della Consolata, ma nessuno vuole accettare tale incarico a causa di una situazione molto difficile: l’antica costruzione è in rovina e il Convitto per la preparazione dei giovani sacerdoti è chiuso a motivo delle tante polemiche sull’insegnamento della morale. Questo compito così delicato viene affidato all’Allamano, il quale accetta per obbedienza, anche se gli costa moltissimo, e vi rimarrà per il resto della sua vita: 46 anni!

Il giovane Rettore, che si adopera con tutti i mezzi perché il Santuario diventi nuovamente un centro spirituale per la città, pone mano a moltissime iniziative: messe, comunioni, confessioni, novene, sabati mariani, pellegrinaggi, liturgia curata, restauri e ampliamenti innovativi. Nel frattempo, si interessa ai problemi sociali degli operai; è un pioniere della stampa cattolica; migliora e incrementa l’Opera degli Esercizi spirituali per il clero e per i laici presso il Santuario di Sant’Ignazio (Lanzo, TO). Si è scelto come collaboratore il teologo Giacomo Camisassa – fedele, attento e silenzioso – che gli rimarrà accanto per tutta la vita.

Fin da ragazzo, il Beato guardava alle missioni con passione e interesse. Comprende, con sempre maggior chiarezza, che ogni sacerdote è missionario e che la missione è la massima realizzazione della stessa vocazione sacerdotale. Sa bene che a Torino e in tutto il Piemonte ci sono tanti sacerdoti e così gli nasce l’idea di radunarli insieme. Pensa, per anni, a questo progetto finché, appianate tutte le difficoltà e gli ostacoli, con l’approvazione del suo Arcivescovo, Mons. Agostino Richelmy e della Conferenza Episcopale Subalpina, il 29 gennaio 1901, fonda l’Istituto dei Missionari della Consolata.

Nel 1902, parte il primo gruppetto di pionieri per il Kenya, presto seguito da molti altri. Ma Giuseppe Allamano subito sente l’urgenza della presenza di donne, consacrate a tempo pieno per l’evan­gelizzazione. Dapprima ottiene la collaborazione preziosa delle Suore del Cottolengo di Torino, finché Papa Pio X, durante un’udienza privata, l’aiuta a capire la volontà di Dio nel bisogno concreto di missionarie che si sta manifestando in Africa. Così, il 29 gennaio 1910, fonda un secondo Istituto, quello delle Suore Missionarie della Consolata.

Pur continuando incessantemente il suo ministero di Rettore del Santuario della Consolata, l’Allamano segue da vicino il cammino dei due Istituti: ne accoglie personalmente i candidati e si incontra settimanalmente con loro; sollecita aiuti, trasforma il bollettino del Santuario in un organo di collegamento vivo e diretto con le missioni. Mantiene una fitta corrispondenza con i missionari e le missionarie già in Africa e, da loro, sollecita lettere, relazioni, diari… tutto e sempre per poter meglio annunciare il Vangelo.

Continua nella sua multiforme attività anche in vecchiaia. Nel 1925, ha la grande consolazione di assistere, a Roma, alla beatifi­cazione dello zio materno, Giuseppe Cafasso, definito da Papa Pio XI “la perla del clero italiano”.

Ma la sua malferma salute si aggrava. Muore serenamente, presso il Santuario della Consolata, il 16 febbraio 1926, lasciando dietro di sé un rimpianto nella Chiesa locale, di cui era sempre stato presbitero, e nelle sue due famiglie missionarie.

Il Servo di Dio, Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino, così descriveva il Can. Allamano: «Un membro esemplare del clero diocesano torinese che servì questa chiesa con amore, inserito nel vivo delle vicende difficili che essa attraversava, portando tutte quelle responsabilità pastorali, anche molto onerose, che la Provvidenza gli richiedeva attraverso l’obbe­dienza al vescovo. La fecondità missionaria dell’Allamano si presenta così come un frutto, maturato naturalmente dalle radici di una spiritualità sacerdotale autentica. L’ansia apostolica richiesta ad ogni sacerdote per la salvezza delle anime, egli sentì di non poterla limitare ai confini della sua diocesi, ma di doverla commisurare sulle dimensioni illimitate della missione di salvezza dell’Unico, Sommo ed Eterno Sacerdote. Questa configurazione al sacerdozio universale di Cristo fu vissuta da lui, pur nella trama di una vita sacerdotale ordinaria, con intensità così straordinaria che lo rese Padre di due Congregazioni di apostoli per tutte le genti» (Card. Anastasio Ballestrero, Lettera ai Missionari e Suore Missionarie della Consolata, 27 dicembre 1984).

L’intuizione fontale per l’Allamano è la chiamata a collaborare con Dio nell’attuare il suo progetto di salvezza, che è universale e si concretizza in tre dimensioni caratteristiche: ad gentes – ad pauperes – ad vitam.

La Missione ad gentes è il fine che caratterizza e qualifica la spiritualità e il carisma dell’Allamano. Affermava con chiarezza: «Perché siete qui? Tutti rispondete: per essere missionari. Se qualcuno avesse altro scopo sbaglierebbe, perché qui l’aria è buona solo per chi vuole essere missionario. Chi, dunque, fosse venuto nell’Istituto con fine diverso da quello di farsi Missionario o Missionaria della Consolata, se ne allontani per amor di Dio! In coscienza non può restarvi» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 31). Questa scelta fu per lui frutto di attento discernimento, tanto da non accettare campi di lavoro se non esplicitamente diretti ai “pagani”. Questa sua convinzione nasce da un solido e chiaro principio: la configurazione a Cristo, inviato del Padre. Prima che un’opera da compiere, la missione è, perciò, comunione di vita con il “missionario” per eccellenza, che è Gesù Cristo.

La Santissima Vergine “Consolata”, titolare dei due Istituti missionari, ispira il modo di attuare il carisma e caratterizza la vita consacrata ad pauperes. Nella tradizione derivante dal Fondatore, infatti, portare il lieto annunzio del Vangelo è mirare al benessere e alla felicita delle persone, condividere la vita dei poveri, lavorando per la giustizia e la pace. Con Maria Consolata e come Lei, si porta al mondo la vera consolazione, Cristo Signore.

L’Allamano vede realizzato l’ideale missionario nella comunione fraterna, in una “famiglia” in cui tutti si accolgono, vivono in unità di intenti, fanno proprie le gioie, sofferenze e speranze degli altri. Un suo pensiero significativo: «Ricordate che l’Istituto non è un collegio, neppure un seminario, ma una famiglia. Siete tutti fratelli; dovete vivere assieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme per tutta la vita. Nell’Istituto dobbiamo formare una cosa sola fino a dare la vita gli uni per gli altri» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 134).

Vita fraterna sugellata nella professione perpetua dei consigli evangelici (ad vitam) che, per l’Allamano è un ideale tanto grande da essere assunto con radicalità e totalità, orientando tutto a esso: esistenza, spiritualità, scelte e attività.

Allamano si sentì chiamato ad essere sacerdote e lo fu per tutta la vita. La sua passione consisteva nel meditare sul sacerdozio di Cristo, di cui era stato fatto partecipe e di cui scopriva ogni giorno di più le prerogative. Ed ebbe del sacerdozio un concetto dinamico, di servizio, perché il sacerdote è tale non per sé, ma per gli altri. Impedito a partire per le missioni, restò per tutta la vita sacerdote diocesano, senza rimpianti. La vasta attività a servizio della Chiesa, anziché limitarne gli orizzonti, glieli aprì alle dimensioni del mondo.

Per lui, infatti, «ogni sacerdote è missionario di natura sua; la vocazione ecclesiastica e quella missionaria non si distinguono essenzialmente; non si richiede che un grande amore per Dio, e zelo per le anime. Non tutti potranno realizzare il desiderio di recarsi in missione, ma tale desiderio dovrebbe essere di tutti i sacerdoti. L’apostolato tra gli infedeli è, sotto questo aspetto, il grado superlativo del sacerdozio» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 25).

E questa dimensione missionaria del sacerdozio non è che un potenziamento dell’essere cristiano. La vita cristiana è sforzo di attuare, in unione a Cristo, il comandamento nuovo: “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 15, 13). Carità che non esclude nessuno e che, se ha delle preferenze, queste sono per i poveri, primi destinatari del Vangelo.

Marie-Léonie Paradis (al secolo: Virginie Alodie)

Marie-Léonie nacque come Virginie Alodie Paradis il 12 maggio 1840 in Canada, nella regione dell’Acadia, allora parte della diocesi di Montreal, e fu battezzata lo stesso giorno della sua nascita. Terza di sei figli, dai genitori ricevette un’educazione cristiana che le fece sviluppare una personalità intrisa di dolcezza e propensa alla carità verso il prossimo. All’età di nove anni entrò come educanda nel collegio delle Suore della Congregazione di Notre-Dame a Laprairie, dove le furono impartiti gli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana (l’11 luglio 1849 la Confermazione e l’anno seguente l’Eucaristia) e in quel periodo cominciò a maturare la sua vocazione religiosa.

Il 21 febbraio 1854, all’età di tredici anni, Virginie Alodie fece il suo ingresso come postulante nel convento delle Suore Marianite a Saint-Laurent (Montréal). Vestì l’abito religioso il 19 febbraio 1855 e, nonostante la sua salute cagionevole, il 22 agosto 1857 emise la professione solenne alla presenza del Beato Basile Moreau, csc, fondatore della Congregazione di Santa Croce, assumendo il nome di Marie-de-Sainte-Léonie.

Destinata all’educazione della gioventù, prestò servizio in diversi conventi del Canada fino al 1862 quando venne trasferita in un convento di New York, dove rimase per otto anni.

Nel 1870, con l’approvazione del suo padre spirituale e della Superiora generale, si unì alla Provincia dell’Indiana, che si era separata dalla Congregazione marianita l’anno precedente. Nel 1874 fu inviata al St. Joseph College a Memramcook, dove, con la guida spirituale e l’aiuto determinante di P. Camille Lefebvre, csc, provin­ciale della Congregazione, il progetto vocazionale della Beata ebbe la sua decisiva evoluzione.

Grazie alle doti umane di Sister Léonie (come veniva confiden­zialmente chiamata a Memramcook), e al suo fervore nella vita religiosa, in breve tempo si creò intorno a lei un gruppetto di ragazze desideroso di abbracciare la vita religiosa.

Intuito il potenziale della Beata e riconosciuta la sua più profonda aspirazione a servire i sacerdoti nell’esercizio del loro ministero, l’allora Vescovo di Montréal, S.E.R. Mons. Édouard-Charles Fabre, la invitò a fondare con le giovani una piccola comunità dedicata a prestare la propria opera presso i Collegi dei Padri di Santa Croce presenti in quella diocesi.

Alla vestizione di un abito comune il 26 agosto 1877, seguì, il 13 maggio 1880, la nascita ufficiale del nuovo Istituto delle Piccole Sorelle della Santa Famiglia, con il beneplacito del Capitolo generale della Congregazione di Santa Croce.

Trasferitasi nel 1895 con le prime consacrate nella città di Sherbrooke, fu accolta dal Vescovo del luogo, Mons. Paul LaRoque, e diede vita a quella che sarà la casa madre delle Piccole Sorelle della Santa Famiglia. Poté così compiersi pienamente la grande aspirazione della fondatrice di mettere la propria vita a servizio dei sacerdoti. Sollevata da tutti gli obblighi verso la sua Congregazione di provenienza dall’allora Papa Pio X, il 1° maggio 1905 vestì definitivamente l’abito del nuovo Istituto e, già nel corso della sua vita, vide crescere l’Opera da lei fondata, che rapidamente si diffuse con l’apertura di numerose case nelle diocesi del Canada e degli Stati Uniti.

Provata da una salute cagionevole che aveva particolarmente colpito i suoi polmoni e affetta da un male cancerogeno, Madre Marie-Léonie morì il 3 maggio 1912, all’età di 72 anni, proprio nel giorno in cui aveva ricevuto il permesso si stampare la Piccola regola destinata alle sue consorelle, per la quale aveva atteso venti anni.

Il servizio funebre fu celebrato dapprima, per la sua comunità, il 6 maggio 1912 e, nuovamente, con una cerimonia pubblica, il giorno successivo presso la cattedrale di Sherbrooke, dove il Vescovo LaRoque la descrisse con queste parole: «Aveva sempre le braccia aperte e il cuore al posto giusto, un sorriso buono e onesto sulle labbra, accogliendo ciascuno come se fosse Dio stesso. Era tutta cuore».

I resti mortali furono tumulati inizialmente nel cimitero parrocchiale Saint-Michel a Sherbrooke e in seguito traslati prima presso la casa madre delle Piccole Suore della Santa Famiglia (1935) e infine presso la cattedrale di Sherbrooke (2017).

Già alla morte della Fondatrice si contavano oltre quaranta case e 635 religiose che operavano nelle diocesi del Canada e degli Stati Uniti. Nel corso degli anni il numero si è accresciuto fino a superare le 185 sedi e le 1600 consacrate sparse in tutto il mondo: Honduras, Guatemala, Brasile, Cile, Haiti, oltre che in Italia. Dagli albori della fondazione fino ai nostri giorni, le Piccole Suore della Santa Famiglia conducono una vita ispirata alla sobrietà e all’umiltà della Famiglia di Nazareth, totalmente dedite a servizio del ministero sacerdotale.

Il carisma di sostegno spirituale e materiale ai sacerdoti si attua a partire dalla preghiera intensa e costante per il loro ministero, realizzandosi concretamente attraverso una molteplicità di mansioni che spaziano dalla cura della cucina, della lavanderia e degli altri ambienti di vita dei collegi e dei seminari, fino al mantenimento della sacrestia e della chiesa nelle parrocchie. Animate da uno spirito di «servizio umile e gioioso», che trova il suo fondamento nella chiamata all’«incarnazione e manifestazione di Cristo Servo» (Costituzioni, 2009), le Piccole Suore della Santa Famiglia traggono ispirazione, nella loro vita consacrata, specialmente dalla pericope evangelica di Gv 13,1-20.

Elena Guerra

Elena Guerra nacque a Lucca, Italia, il 23 giugno 1835 da genitori appartenenti alla nobiltà locale e fin da piccola ricevette, insieme ai due fratelli, una buona educazione.

Dopo la Cresima, impartitale a otto anni, senza che nessuno la guidasse, avvertì una specialissima devozione verso lo Spirito Santo: «Da allora», scriverà più avanti, «quando mi trovavo in chiesa per la novena di Pentecoste, mi sembrava di essere in paradiso».

Dopo la prima Comunione, ottenne di potersi accostare all’Eu­caristia tutti i giorni, sempre più attratta dall’amore verso Dio. In famiglia un suo fratello si stava preparando al sacerdozio ed Elena avrebbe voluto anch’essa partecipare alle lezioni dei professori che il papà faceva venire in casa per istruire il figlio, ma la mamma vi si oppose, consentendole di imparare musica, pittura e ricamo.

Tuttavia lei, frequentando di nascosto le lezioni date al fratello e sottraendo ore al sonno, completò la propria istruzione imparando anche il latino.

Nel 1856 dava vita al “Giardinetto di Maria” e successivamente alle “Amicizie spirituali”, due forme di aggregazione femminile laicale che consentivano un reciproco aiuto spirituale tra le giovani; iniziative che precorrevano profeticamente i metodi moderni del­l’Azione Cattolica: le ascritte, infatti, dovevano impegnarsi a vivere integralmente la vita cristiana. L’anno seguente però Elena fu colpita da una grave malattia che la costrinse ad una lunga immobilità.

Dopo aver recuperato la salute, chiese di essere ammessa tra le Dame di Carità, che visitavano i poveri e i malati a domicilio; e quando a Lucca imperversò il colera, col consenso dei propri familiari si recava a trovare i malati, curandoli e confortandoli con le parole della fede.

Nel cammino di maturazione spirituale, si concentrò soprattutto su temi ascetici e sui cardini della sua spiritualità: lo Spirito Santo, il Cenacolo, la Pente­coste. La rattristava il fatto di dover constatare che la maggior parte dei cristiani trascurava la devozione al Paraclito e per questo nel 1865 scrisse un opuscolo dal titolo “Pia Unione di preghiere allo Spirito Santo” per ottenere la conversione degli increduli, e diffuse la pratica delle sette settimane in preparazione alla Pentecoste; infine, nel 1889 fece stampare la novena intitolata “Nuovo Cenacolo” per suscitare «un generale ritorno dei fedeli allo Spirito Santo».

Convinta della funzione della stampa come servizio fonda­men­tale per la Chiesa, la Guerra pubblicò numerosi scritti su problemi riguardanti le donne – spose, fidanzate, lavoratrici domestiche – e sulla scuola, per indirizzare insegnanti e alunni verso una cultura cristiana.

Elena educò alla vita cristiana parecchie centinaia di giovani, tra le quali anche santa Gemma Galgani, la quale chiese di entrare nella nascente comunità, ma vi dovette poi rinunciare a causa di una forte crisi che ne aveva minato la salute in seguito alla morte della madre, del fratello Gino, seminarista a cui era legatissima, e del padre, oltre che per una pesante crisi economica che aveva colpito la famiglia.

Nel 1870, tornata da un pellegrinaggio compiuto a Roma con suo padre, Elena si sentì spinta a fondare un gruppo di Adoratrici del SS. Sacramento, ma ne fu dissuasa dal suo direttore spirituale, il gesuita padre Venanzi; successivamente, dopo aver letto la biografia di Sant’Angela Merici, volendo fare qualcosa per l’educazione della gioventù, ottenne dai suoi di fare un po’ di scuola ad alcune ragazze povere in casa di una Dama di Carità. Poi, con l’aiuto del parroco della cattedrale di Lucca, nel dicembre 1872 aprì una scuola privata per le figlie della borghesia e della nobiltà lucchese; l’opera, dopo alcune difficoltà, si consolidò e con il gruppo delle compagne che si erano unite a lei per svolgere questo tipo di apostolato, fondò l’Istituto di Santa Zita, formato da donne che inizialmente non facevano vita comunitaria ma si dedicavano all’istruzione e all’edu­cazione delle fanciulle.

Per una decina d’anni dovette affrontare l’incom­prensione dei lucchesi, del clero e dello stesso Arcivescovo Arrigoni, nonché della sua famiglia. Nel 1882, lasciata la propria casa, in un palazzo acquistato coi fondi avuti in seguito alla divisione del patri­monio familiare, iniziò la vita di comunità con quelle che furono chiamate Oblate dello Spirito Santo. Successivamente, tramite Mons. Giovanni Volpi, Vescovo ausiliare di Lucca, scrisse a Papa Leone XIII esortandolo a indurre i vescovi e, tramite loro, i parroci a preparare i fedeli alla festa di Pentecoste con una novena possibil­mente predicata. Il Pontefice capì l’importanza di questo appello e con un “Breve” del 5 maggio 1895 esortò tutti i vescovi del mondo a fare questa novena per il ritorno dei dissidenti alla vera Chiesa. Suor Elena istituì poi l’associazione del “Cenacolo Permanente” e ne informò nuovamente il Papa, il quale con l’enciclica Divinum illud Munus del 9 maggio 1897 raccomandava esplicitamente ai fedeli la devozione allo Spirito Santo.

Cinque mesi dopo, Egli ricevette in udienza privata Elena. Questa dal canto suo, avendo constatato che purtroppo il clero pareva poco interessato ad attuare quanto Leone XIII aveva racco­mandato, moltiplicò gli opuscoli per richiamare i parroci e i fedeli a questa devozione, e finanziò allo stesso scopo “missioni al popolo” in varie parti d’Italia. Anche stavolta il Pontefice appoggiò l’iniziativa, raccomandando con forza ai parroci di celebrare la novena di Pentecoste «tutti gli anni per il ritorno all’unità di tutti i credenti».

Arrivò però anche l’ora delle tenebre. Tra il 1905 e il 1906 da alcune sue consorelle furono lanciate, contro di lei, accuse di cattiva amministrazione: le si imputava di dilapidare il patrimonio dell’Istituto con le sue pubblicazioni.

Le autorità ecclesiastiche la indussero a dimettersi da superiora e le proibirono di dare alle stampe altri scritti. Ella si dimise, obbedendo umilmente e offrì la propria vita per il bene della Chiesa. Nel suo diario scrisse: «È bello operare il bene, ma rimanere fermi per volere altrui, lasciarsi legare le mani senza ribellarsi, congiungen­dole in un supremo atto di adorazione e di perfetta adesione al volere di Dio, è opera ancor più sublime, è un trasformare la più umiliante situazione nell’azione più perfetta che possa fare la creatura».

Gli ultimi tre anni Elena li trascorse nell’alternarsi di malattie e di dolori che ne provocarono la morte 1’11 aprile 1914. Era il Sabato Santo e la Fondatrice, dopo che si era fatta vestire, scese dal letto, baciò la terra e ripeté ad alta voce: «Credo!».

Le sue spoglie mortali riposano a Lucca nella cappella delle Oblate dello Spirito Santo, dove erano state traslate nel 1928.

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