La dittatura del relativismo
Guardando alle epoche passate e al susseguirsi delle varie ideologie che ne hanno caratterizzato l’etica, ci può sorgere una genuina domanda… Qual è l’ideologia che permea l’etica del nostro tempo? Siamo ancora rinchiusi in un dualismo ideologico tra marxismo e liberalismo o si è venuto a delineare qualcosa di nuovo? Dal secolo scorso una nuova ideologia ha preso spazio nel dibattito sulla questione: il relativismo.
Il relativismo etico fonda le sue radici nella Grecia del V secolo a.C. con Protagora, padre della sofistica, che ruppe il rapporto tra physis (legge di natura) e nomos (legge umana). Questa rottura nasceva dall’assunzione che non esistesse alcuna verità certa nella conoscenza, ovvero nella morale. Il concetto fu poi riaffermato nel famoso “Il nulla è” di Gorgia. Quindi, secondo i sofisti, la morale fonda le sue radici esclusivamente nel giudizio individuale.
Il professor Fabio Cioffi, nel suo libro “I filosofi e le idee”, afferma che: «La cultura sofistica attraverso la critica della nozione di verità perviene ad una forma più radicale di relativismo. Non solo non esiste una verità assolutamente valida, ma l’unico metro di valutazione diviene l’individuo: per ciascuno è vera solamente la propria percezione soggettiva. Analogamente tale visione relativistica del mondo viene applicata al campo dell’etica. Non esistono azioni buone o cattive in sé; ciascuna azione deve essere valutata caso per caso».
Anche solo se si dovesse mantenere il dibattito ad un livello puramente logico, sarebbero già molte le critiche avanzate. I maggiori filosofi greci (tra cui Socrate, Platone e Aristotele) già a loro tempo criticarono il relativismo etico dei sofisti. Le maggiori critiche vengono evidenziate da Platone nel dialogo “Protagora”:
- Le opinioni che si basano solo sul punto di vista del suo assertore non sono oggettivamente valide;
- Le opinioni che si basano su dei dati falsi e prive di un fondamento oggettivo e reale generano confusione e non permettono di conoscere l’ordine intelligibile delle cose;
- Le opinioni false generano credenze false.
In breve, quello che viene criticato è il fatto che il relativismo non può affermare nulla che sia oggettivo o assoluto, dunque è impossibile costruirvici sopra alcuna struttura etica. Ci viene quindi spontanea una domanda…
Il relativismo è applicabile in una società stabile?
La risposta breve? Probabilmente no.
Qualcuno dirà che sono esistite numerose società con etiche differenti. È senz’altro vero, infatti non si può affermare che tutte le etiche siano uguali. «Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio ben diverso da quello dove si grida «occhio per occhio dente per dente», o da quello leninista per cui «la morale è in tutto e per tutto soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato», o da quella secondo cui «non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa senza pietà».
Però ciò non significa che il relativismo sia applicabile all’interno di una singola società come strumento guida per la costruzione della sua etica. Questo è stato ben dimostrato dagli stessi sofisti che hanno fondato il relativismo etico. Possono anche coesistere società con etiche diverse, ma non potrà mai esistere una società stabile che fa del relativismo la sua etica, siccome questa etica non potrà mai essere né stabile né assoluta per definizione.
Ma allora perché non tralasciare semplicemente l’etica per inseguire l’ideologia relativista? Sul quesito ci hanno ragionato numerosi filosofi. Ad esempio, Mill e Weber, partendo dall’assunte che non esiste una stabile gerarchia di valori nel mondo contemporaneo, hanno concluso l’esistenza di un “politeismo di valori”. Per Weber questo politeismo è dovuto al fatto che il mondo stesso non abbia significato, quindi l’unica forma di politica possibile è quella dettata dall’utilitarismo dell’etica delle responsabilità.
Partendo dall’assunto relativista, l’unica conclusione è quella utilitarista. Infatti, l’etica delle responsabilità guarda principalmente alle conseguenze delle azioni. In questo non è affatto dissimile all’utilitarismo di Bentham, il quale giudicava le azioni solo dal punto di vista delle conseguenze senza curarsi delle azioni in sé. Insomma, si arriva al punto in cui non solo il fine giustifica i mezzi, ma non c’è neanche alcun bisogno di giudicare i mezzi!
Potrà mai essere stabile una società in cui si permettono delle atrocità in nome di un bene superiore? Potrà mai essere etica una società in cui ogni azione non è né giusta né sbagliata in nome della relatività morale? Potrà mai essere umana una società privata d’ogni assoluto?
La prospettiva cattolica
In opposizione a tale visione relativista e utilitarista, il cattolico afferma che non è lecito compiere un male perché ne derivi un bene. Ovvero non si può esigere che una propria azione venga giustificata moralmente solo in funzione delle sue conseguenze; come non si può ciecamente pensare che l’azione in sé non esista, mentre esista esclusivamente la sua conseguenza; o non si può pretendere che la volontà, causa dell’agire, non sia di alcun peso.
Il discorso sul relativismo contemporaneo, iniziato da San Giovanni Paolo II nella forma di vari appelli anche rivolti verso i giovani, si è intensificato sotto il pontificato di Benedetto XVI. Questo è stato trattato in vari ambiti, da quello etico a quello religioso, riferendosi nello specifico ai temi di caduta del senso del peccato, relativizzazione della norma morale, rovesciamento etico, secolarizzazione, indifferenza religiosa, soggettivismo, individualismo estremo, utilitarismo, nichilismo, positivismo giuridico, pragmatismo, all’agnosticismo, al laicismo, al materialismo economico, al sincretismo, all’edonismo ed alla globalizzazione.
Tutto questo viene trattato secondo una dialettica positiva che non nega ma propone, che non priva ma dona, che non odia ma ama. Questa dialettica è quella cristiana, che vede nell’ama il prossimo tuo come te stesso la sua sintesi ed in Cristo la sua anima, ricercando in Dio quel Assoluto incontemplabile nel relativismo.
Le parole di Benedetto XVI
Vorremmo infine riportare qualche estratto di Papa Benedetto XVI sul relativismo, in particolare dall’omelia tenuta durante la Missa pro eligendo Romano Pontifice, per così lasciare qualche punto di riflessione sulla tematica trattata.
«In un mondo senza punti fissi di riferimento non ci sono più direzioni. Ciò cui guardiamo come ad un orientamento non si basa su un criterio vero in se stesso, ma su una nostra decisione, ultimamente su considerazioni di utilità. […] Ognuno determina da solo i propri criteri e, nell’universale relatività, nessuno può neppure essere d’aiuto a un altro in questo campo, e meno ancora prescrivergli qualche cosa» (J. Ratzinger, Coscienza e verità).
«Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale! Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero…
La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella Carità» (J. Ratzinger, Omelia 18 aprile 2005 durante la Missa pro eligendo Romano Pontifice).