Ecumenismo del sangue: i martiri riavvicinano le Chiese
Nella cappella del coro della basilica di San Pietro la preghiera ecumenica in onore dei 21 martiri copti, uccisi dall’Isis, venerati come santi, per volere di Papa Francesco, anche dalla Chiesa cattolica. Il cardinal Koch: “Il martirio cristiano è il più alto modo di dimostrare amore”
Città del Vaticano – I martiri aiutano il cammino ecumenico e avvicinano le confessioni cristiane all’unità. A dimostralo la preghiera in memoria del 21 martiri copti, celebrata ieri nella cappella del coro della basilica vaticana. Tra i marmi e le opere d’arte barocche si alternano i canti con l’organo, tipici del rito latino, a quelli in lingua araba.
Melodie dai toni orientali, magistralmente eseguite dai ragazzi del coro copto ortodosso della chiesa di San Giorgio a Roma, accompagnano le orazioni. Sul presbiterio, a guidare i Vespri, il cardinal Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani. Presenti, tra gli altri, il segretario del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, Brian Farrell, il segretario del Dicastero per le Chiese orientali, padre Michel Jalakh, il vescovo copto cattolico emerito dell’eparchia di Guizeh (Egitto), Antonios Aziz Mina, il vicario generale della diocesi copta ortodossa di Roma, Thaoufilos el Soryany e il parroco copto ortodosso di Santa Mina in Roma, Antonio Gabriel.
A partecipare al rito anche diversi rappresentanti ecumenici, tra i quali Matthew Laferty, del Methodist Ecumenical Office Rome, Tara Curlewis, del Reformed Churches Ecumenical Office – Rome, e Psak Tepirjian, della Chiesa apostolica armena.
Cristiani di diverse confessioni riuniti insieme per la prima commemorazione dei 21 uomini, rapiti e decapitati dall’Isis in una spiaggia a Sirte esattamente 11 anni fa. Papa Francesco aveva voluto inserirli nel Martirologio Romano lo scorso 11 maggio, seguendo la scia del Concilio Vaticano II, che già negli ’60 parlava di un ecumenismo del sangue,
Quelli commemorati ieri erano venti lavoratori egiziani emigrati in Libia per cercare lavoro. Ad accumunarli l’appartenenza alla Chiesa copta ortodossa. Con loro anche un ghanese che nel vedere il coraggio di questi uomini, alcuni molto giovani (il più piccolo aveva 23 anni), si convertì. E quando l’Isis gli chiese di rinnegare Cristo rispose: “Il loro Dio è il mio Dio”. E così anche il suo sangue tinse di rosso il mare.
La più grande testimonianza d’amore
Significative le parole scelte dal cardinal Koch, che nella breve omelia cita il Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. In questa frase, spiega il porporato, “si concentra il mistero profondo del martirio cristiano. Cristo non ha risposto con la vendetta alla violenza ma ha trasformato la violenza in amore. L’unica vendetta che conosce Cristo è la croce”.
La croce mostra che l’amore non può esistere senza amore per la vita agli altri. Gesù non ha offerto nulla se non sé stesso e ha introdotto nel mondo nuova forma di culto. Una liturgia che ci fa sperimentare il suo amore senza limiti
“La croce – sottolinea il cardinale – è il modello esemplare dei cristiani. Essere uccisi non fa il martire, non è la morte in sé. Il segno distintivo del cristiano è l’amore. E il martirio cristiano è il più alto modo di dimostrare amore. Il martire liberamente accetta la morte per la salute del mondo. I martiri Copti ortodossi uccisi in Libia e che oggi ricordiamo con gratitudine per la testimonianza di fede hanno testimoniano questo amore con la loro vita”.
I martiri copti, fa notare Koch, richiamano “una realtà che spesso tendiamo a dimenticare. Gesù stesso ci ha detto: ‘Se hanno perseguitato me perseguiteranno voi’. Dobbiamo ricordarlo sempre: la sequela di Cristo può portare il martirio”. Poi ammonisce: “I martiri non sono marginali, sono il fulcro della Chiesa”.
Martirio aspetto essenziale del cristianesimo. Si contano più martiri oggi che non nei primi secoli. L’80% dei perseguitati per fede oggi sono cristiani.
Nel corso della storia tutte le Chiese hanno avuto i loro martiri. Ma oggi “si viene uccisi per il semplice motivo di essere cristiani”. Per questo si può parlare di “martirio ecumenico”, anzi, parafrasando Giovanni Paolo II, “si deve parlare di ecumenismo dei martiri. I martiri sono la prova significativa che ogni divisione può essere superato. Il sangue dei martiri del nostro tempo può sanare le fratture del corpo di Cristo lacerato dalle divisioni”.
Un viaggio nel cuore dell’Egitto cristiano
Terminata la preghiera, i presenti hanno raggiunto la filmoteca vaticana per assistere alla proiezione del documentario “I 21: la potenza della fede”. Il film, realizzato nel villaggio natale dei martiri, con il patrocinio di Tawadros II, mostra la gioia dell’essere cristiani.
Commoventi le interviste ai familiari: alle telecamere parlano anche due bimbe. Una aveva appena due anni, l’altra nemmeno nove mesi quando i loro papà sono stati brutalmente uccisi in riva al mare. “Non ho ricordi di mio padre ma sono felice, ora è con Gesù”, racconta sorridendo la più grande.
“Prego ogni giorno, mio figlio è sicuramente in cielo. Ma io non riesco a perdonarli per quello che hanno fatto”, racconta la mamma di uno dei giovani martiri. In sala è presente anche il regista, Samuel Armnius, che, terminata la proiezione, ha aperto una tavola rotonda sul tema dell’ecumenismo del sangue. A dialogare con lui il cardinale Koch, monsignor Aziz Mina e il reverendo Gabriel.
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