“Siamo strumenti della grazia: ecco la nostra vocazione”
Il Pontefice incontra i Vescovi, il clero, le suore, i catechisti, seminaristi e diaconi della Papua Nuova Guinea: “Continuate così la vostra missione, come testimoni di coraggio, di bellezza e di speranza! E non dimenticate lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza”
Port Moresby – La missione della Chiesa non dipende dalle tecniche degli uomini ma la vera vocazione di ogni sacerdote è quella di essere “strumenti della grazia”. A dirlo è Papa Francesco che, dopo la visita ai bambini di Street Ministry e Callan Services (leggi qui), ha raggiunto in auto il Santuario di Maria Ausiliatrice per la terza tappa della sosta in Oceania, ovvero l’incontro con i Vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone (qui la Conferenza Episcopale riunisce entrambe le nazioni, ndr), con i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati e le Consacrate, i Seminaristi e i Catechisti
Il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di Port Moresby, il cardinale John Ribat, M.S.C., dal Presidente della Conferenza dei vescovi cattolici di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, Otto Separy, Vescovo di Bereina, dal Rettore del Santuario, e da due bambini in abito tradizionale che gli hanno donato un omaggio floreale.
Dopo il saluto del Presidente della Conferenza Episcopale si sono susseguite le testimonianze di una suora, di un sacerdote, di un catechista e di una rappresentante del Sinodo sulla sinodalità, il Pontefice ha pronunciato il suo discorso, il secondo dei cinque previsti in Papua Nuova Guinea.
“Sono contento di stare qui, in questa bella chiesa salesiana: i salesiani sanno fare bene le cose. Complimenti – esordisce il Santo Padre -. Questo è un Santuario diocesano dedicato a Maria Aiuto dei Cristiani: Maria Ausiliatrice, io sono stato battezzato nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, un titolo tanto caro a San Giovanni Bosco; Maria Helpim, come con affetto la invocate qui”.
Tre aspetti gli aspetti “del nostro cammino cristiano e missionario” sul quale Bergoglio ha voluto soffermarsi con il clero: il coraggio di cominciare, la bellezza di esserci e la speranza di crescere.
Primo: il coraggio di cominciare: Francesco ha ricordato che il cattolicesimo in questa nazione è arrivato grazie ai missionari, giunti in Papua alla metà del XIX secolo “e i primi passi del loro lavoro non sono stati facili, anzi alcuni tentativi sono falliti. Ma loro non si sono arresi: con grande fede e con zelo apostolico hanno continuato a predicare il Vangelo e a servire i fratelli, ricominciando molte volte dove non avevano avuto successo, con tanti sacrifici”.
“Ce lo ricordano queste vetrate – ha proseguito il Papa indicando le pareti del Santuario -, attraverso le quali la luce del sole ci sorride nei volti dei Santi e Beati: donne e uomini di ogni provenienza, legati alla storia della vostra comunità: Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello. Tutti fratelli e sorelle che, in modi e tempi diversi, cominciando e ricominciando tante volte opere e cammini, hanno contribuito a portare il Vangelo tra voi, con una variopinta ricchezza di carismi, animati dallo stesso Spirito e dalla stessa carità di Cristo”.
Il Papa, definendo “donne e uomini di “partenza”, e se tornano, di “ripartenza”” i missionari, ha sottolineato che è proprio “grazie a loro che siamo qui e che oggi, nonostante le sfide che pure non mancano, continuiamo ad andare avanti, senza paura – non so se sempre –, sapendo che non siamo soli, che è il Signore che agisce, in noi e con noi, rendendoci, come loro, strumenti della sua grazia”.
Da qui l’appello a “dirigere le vostre “partenze”: quella delle periferie di questo Paese. Penso alle persone appartenenti alle fasce più disagiate delle popolazioni urbane, come anche a quelle che vivono nelle zone più remote e abbandonate, dove a volte manca il necessario. E ancora penso a quelle emarginate e ferite, sia moralmente che fisicamente, dal pregiudizio e dalla superstizione, a volte fino a rischio della vita”.
“Non dimenticate lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza”, ha aggiunto a braccio.
“Qui il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce”, ha proseguito il Santo Padre nel passare al secondo aspetto ovvero “la bellezza di esserci”.
“Come si fa a trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione? Non penso che ci siano “tecniche” per questo – ha detto ancora Bergoglio rispondendo così a uno delle testimonianze -. Un modo collaudato, però, è proprio quello di coltivare e condividere con loro la nostra gioia di essere Chiesa – questo lo diceva Benedetto XVI – casa accogliente fatta di pietre vive, scelte e preziose, poste dal Signore le une accanto alle altre e cementate dal suo amore”.
Di certo, “stimandoci e rispettandoci a vicenda e mettendoci al servizio gli uni degli altri, possiamo mostrare ai giovani e a chiunque ci incontri quanto è bello seguire insieme Gesù e annunciare il suo Vangelo”.
La bellezza di esserci, allora, ha ammonito, “non si sperimenta tanto in occasione dei grandi eventi e nei momenti di successo, quanto piuttosto nella fedeltà e nell’amore con cui ogni giorno ci si impegna a crescere insieme”.
Nel commentare il terzo e ultimo aspetto, “la speranza di crescere”, Bergoglio è tornato a servirsi delle immagini custodite all’interno del Santuario, soprattutto quelle raffigurante Abramo, Isacco e Mosè, “i Patriarchi resi fecondi dalla fede, che per aver creduto hanno ricevuto in dono una numerosa discendenza”.
Questo, ha fatto notare, “è un segno importante, perché incoraggia anche noi, oggi, ad avere fiducia nella fecondità del nostro apostolato, continuando a gettare piccoli semi di bene nei solchi del mondo. Sembrano minuscoli, come un granello di senape, ma se ci fidiamo e non smettiamo di spargerli, per grazia di Dio germoglieranno, daranno un raccolto abbondante e produrranno alberi capaci di accogliere gli uccelli del cielo”.
“Lo dice San Paolo, quando ci ricorda che la crescita di ciò che noi seminiamo non è opera nostra, ma del Signore, e lo insegna la Madre Chiesa, quando sottolinea che, pur attraverso i nostri sforzi, è Dio “a far sì che venga il suo regno sulla terra”, ha concluso.
Al termine dell’incontro, dopo la benedizione, lo scambio dei doni e una foto di gruppo con i Vescovi, il Papa si è ferma brevemente sulla terrazza per salutare i fedeli presenti nel cortile antistante il Santuario. Quindi ha fatto rientro in auto alla Nunziatura Apostolica. (foto © Vatican Media)
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