Il Papa contro la pena di morte: “Non è giustizia ma un veleno per la società”
Il Pontefice, che qualche anno fa ha anche modificato il Catechismo della Chiesa cattolica sull’argomento, si dice nuovamente contrario alla pena di morte: “Gli Stati dovrebbero preoccuparsi di permettere ai detenuti la possibilità di cambiare realmente vita, piuttosto che investire denaro e risorse nel sopprimerli, come fossero esseri umani non più degni di vivere e di cui disfarsi”
Città del Vaticano – “Le esecuzioni capitali, lungi dal fare giustizia, alimentano un senso di vendetta che si trasforma in un veleno pericoloso per il corpo delle nostre società civili”. Lo scrive Papa Francesco firmando la prefazione al libro “Un cristiano nel braccio della morte. Il mio impegno a fianco dei condannati” di Dale Racinella, in uscita martedì 27 agosto.
Recinella, 72 anni, già avvocato di successo a Wall Street, dal 1998 accompagna spiritualmente i condannati a morte in alcuni penitenziari in Florida insieme alla moglie Susan. In questo volume racconta la sua esperienza nata dall’incontro con Gesù.
La prefazione di Francesco, di cui riportiamo di seguito il testo della prefazione così come appare sui media vaticani, si rifà alla modifica del paragrafo del Catechismo della Chiesa cattolica apportata dallo stesso Pontefice nel 2018; nel testo precedente si afferma che “la Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell`identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l`unica via praticabile per difendere efficacemente dall`aggressore ingiusto la vita di esseri umani”. Con Bergoglio il testo diventa: “la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.
Il Vangelo è l’incontro con una Persona viva che cambia la vita: Gesù è capace di rivoluzionare i nostri progetti, le nostre aspirazioni e le nostre prospettive. Conoscere Lui vuol dire riempire di significato la nostra esistenza perché il Signore ci offre la gioia che non passa. Perché è la gioia stessa di Dio.
La vicenda umana di Dale Recinella, che ho incontrato a un’udienza, ho conosciuto meglio attraverso gli articoli da lui scritti negli anni per L’Osservatore Romano e ora mediante questo libro che tocca il cuore, è una conferma di quanto detto: solo così si può spiegare come sia stato possibile che un uomo, con in testa ben altri traguardi da raggiungere nel proprio futuro, sia diventato il cappellano, da cristiano laico, marito e padre, dei condannati alla pena capitale.
Un compito difficilissimo, rischioso e arduo da praticare, perché tocca con mano il male in tutte le sue dimensioni: il male compiuto verso le vittime, e che non si può riparare; il male che il condannato sta vivendo, sapendosi destinato a morte certa; il male che, con la pratica della pena capitale, viene instillato nella società. Sì, come ho più volte ribadito, la pena di morte non è in alcun modo la soluzione di fronte alla violenza che può colpire persone innocenti.
Le esecuzioni capitali, lungi dal fare giustizia, alimentano un senso di vendetta che si trasforma in un veleno pericoloso per il corpo delle nostre società civili. Gli Stati dovrebbero preoccuparsi di permettere ai detenuti la possibilità di cambiare realmente vita, piuttosto che investire denaro e risorse nel sopprimerli, come fossero esseri umani non più degni di vivere e di cui disfarsi.
Nel suo romanzo L’idiota Fëdor Dostoevskij sintetizza così, in maniera impeccabile, l’insostenibilità logica e morale della pena di morte, parlando di un condannato alla pena capitale: «È una violazione dell’anima umana, niente altro! È detto: “Non uccidere”, e invece, perché lui ha ucciso, altri uccidono lui. No, è una cosa che non dovrebbe esserci». Proprio il Giubileo dovrebbe impegnare tutti i credenti per chiedere con voce univoca l’abolizione della pena di morte, pratica che, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, «è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona!» (n. 2267).
Inoltre, l’azione di Dale Recinella, senza dimenticare l’importante apporto di sua moglie Susan come traspare dal libro, è un grande dono per la Chiesa e per la società degli Stati Uniti, dove Dale vive e opera. Il suo impegno come cappellano laico, proprio in un posto davvero disumano come il braccio della morte, è testimonianza viva e appassionata alla scuola della misericordia infinita di Dio.
Come il Giubileo straordinario della Misericordia ci ha insegnato, non dobbiamo mai pensare che possano esistere un nostro peccato, un nostro sbaglio o una nostra azione che ci allontanino definitivamente dal Signore. Il suo cuore è già stato crocifisso per noi. E Dio può solo perdonarci.
Certo, questa infinita misericordia divina può anche scandalizzare, come scandalizzava tante persone al tempo di Gesù, quando il Figlio di Dio mangiava con i peccatori e le prostitute. Lo stesso fratello Dale deve far fronte a critiche, rimostranze e rifiuti per il suo impegno spirituale accanto ai condannati. Ma non è forse vero che Gesù ha accolto nel suo abbraccio un ladrone condannato a morte? Ebbene, Dale Recinella ha davvero capito e testimonia con la sua vita, ogni volta che supera la porta di una prigione, in particolare quella che lui chiama “la casa della morte”, che l’amore di Dio è senza confini e senza misura. E che anche il più turpe dei nostri peccati non deturpa agli occhi di Dio la nostra identità: restiamo suoi figli, da lui amati, da lui custoditi e considerati preziosi.
A Dale Recinella vorrei, quindi, dire un grazie sincero e commosso: perché la sua azione di cappellano nel braccio della morte è una tenace e appassionata adesione alla realtà più intima del Vangelo di Gesù, che è la misericordia di Dio, il suo amore gratuito e indefesso per ogni persona, anche per coloro che hanno sbagliato. E che proprio da uno sguardo d’amore, come quello di Cristo sulla croce, possono trovare un senso nuovo al loro vivere e, anche, al loro morire. (foto © Vatican Media)
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