Roma, viaggio nei luoghi della Passione: San Giovanni in Laterano 1/5
Nel complesso del Laterano sono custodite due reliquie della Passione molto importanti: una è situata sopra il grande tabernacolo
Roma – Gerusalemme, la città santa. Due millenni fa, le strade sono state testimoni prima della Passione di Cristo, poi dell’annuncio della sua risurrezione. E nulla è stato più come prima. Per rivivere quei giorni straordinari, oggi, non c’è bisogno di raggiungere Gerusalemme. Nel corso dei secoli, imperatori, regine, Papi e Santi hanno trasformato Roma e le sue basiliche in degne dimore per custodire quegli oggetti toccati da Gesù nel momento della redenzione.
Il nostro itinerario alla scoperta dei luoghi e delle reliquie della Passione (leggi qui) nell’Urbe ha inizio dalla sua Cattedrale, San Giovanni in Laterano. Mater e Caput di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe, contiene al suo interno due importanti testimonianze per la fede cristiana: la tavola su cui Gesù e i suoi apostoli mangiarono durante l’ultima cena e, in un edificio a parte (che fa comunque parte del complesso lateranense), la cosiddetta Scala Santa, ovvero la scala che Gesù salì nel Pretorio più volte il giorno della sua condanna a morte.
La tavola dell’ultima cena
La tavola è nascosta e, allo stesso tempo, ben in mostra: la reliquia, infatti, troneggia al centro della Cappella del Santissimo Sacramento, a sinistra dell’altare maggiore, in alto sul tabernacolo. Un bassorilievo d’argento, senza sfondo, opera di Curzio Vanni, che raffigura proprio l’ultima cena, cela una stanza nascosta, inaccessibile ai fedeli.
Una camera piccola che conserva quella che, secondo l’antica tradizione, sarebbero le tavole di legno dell’ultima cena. Formata da due pannelli di 0,60 per 1,20, la tavola è in legno di cedro. Secondo le testimonianze cristiane, le assi giunsero a Roma nel 70 d.C. A portarle l’imperatore Tito di ritorno dalla prima guerra giudaica. Le assi sarebbe dunque parte del bottino che i soldati romani presero nella Gerusalemme dell’epoca.
Tuttavia non vi sono documenti che tracciano il collocamento esatto della tavola all’interno della Cattedrale. La prima testimonianza arriva in pieno medioevo, nel XIII secolo: si tratta di un mosaico ribattezzato Tabula Magna Lateranensis dove sono elencate tutte le reliquie presenti nella basilica. Se ne deduce che la tavola dell’ultima cena fosse presente al Laterano diverso tempo prima rispetto all’inventario medioevale.
Che quella custodita sopra il tabernacolo, tra affreschi e stucchi, sia la tavola dell’ultima cena lo conferma però una targa, incisa in latino, situata sulla porta che da accesso alla piccola stanzetta, indica che qui sono conservate “le insigni reliquie della Mensa santissima, nella quale nostro Signore Gesù regalò ai discepoli la Suprema Cena”.
La Scala Santa
Uscendo dalla basilica lateranense dalla parte del transetto, dopo aver raggiunto il grande obelisco, guardando a destra l’occhio cade subito su quello che oggi è conosciuto come Santuario Pontificio della Scala Santa.
Per antica tradizione, questa è la scala salita più volte da Gesù nel Pretorio il giorno della sua condanna a morte. Sarebbe stata l’imperatrice Elena, mamma di Costantino il grande, oggi venerata come Santa dalla Chiesa cattolica, a farla giungere a Roma nel 326. Da subito fu chiamata Scala Pilati o Scala Sancta, nome ancora oggi in uso.
Le prime testimonianze scritte si trovano nel Liber Pontificalis nell’epoca di Sergio II (844/847) ed in una Bolla di Pasquale II (1099/1119). Composta da 28 gradini, la Scala Santa conduce a una cappella, detta Sancta Sanctorum, che custodisce diverse reliquie e l’immagine acherotipa (ovvero realizzata non da mano d’uomo) del Santissimo Salvatore. I fedeli, oggi, salgono questi gradini in ginocchio, in segno di venerazione e rispetto.
È certo che era situata nel Patriarchium, o complesso dei Palazzi Lateranensi, e che Sisto V nel 1589 la fece collocare, davanti alla cappella papale dove poi è rimasta formando l’attuale unico edificio. Pio IX ne curò i restauri e promosse il culto della grande reliquia costruendo l’attiguo convento, che il 24 febbraio 1853 affidò ai religiosi Passionisti.
Giunti in alto si arriva in una meravigliosa cappella che si può ammirare attraverso una massiccia inferriata che la protegge. Secondo gli storici del medioevo, era “il più venerato santuario di Roma”. Oratorio privato del Papi fino al Rinascimento, resta l’unico testimone dello splendore dell’antico Patriarchìo.
Non si conosce il fondatore ma per certo si sa che in origine era dedicato a San Lorenzo e che dal IX secolo, per molte e veneratissime reliquie di Santi ivi custodite, cominciò a chiamarsi Sancta Sanctorum. Come per la Scala Santa, il suo primo cenno è nel Liber Pontificalis, sotto Stefano III, e le testimonianze si moltiplicano dal Mille in poi, specie a proposito della liturgia della Settimana Santa e della presa di possesso dei Papi al Laterano.
Gregorio IV fece costruire presso la cappella un appartamento privato per pregare più comodamente e provvedere all’officiatura dei chierici di Curia. Nel corso dei secoli, i Papi gareggiarono nel curarne abbellimenti e restauri. Si distinsero Leone III, Innocenzo III, Onorio III, e specialmente Niccolò III (†1280), cui dobbiamo la sistemazione attuale della cappella. Sotto di lui furono eseguiti gli affreschi attribuiti alla scuola romana del XIII secolo, l’ultimazione del mosaico sopra l’altare ed il pavimento cosmatesco.
A Callisto III risale invece il robusto muro di rinforzo della parte posteriore. Provvidenzialmente, la cappella non subì gravi danni durante il Sacco di Roma del 1527, e i lavori di Sisto V, su progetto dell’architetto Domenico Fontana che realizzò cinque rampe di scale con al centro quella della Scala Santa, lasciarono inalterata la fisionomia del Sancta Sanctorum.
Ciò che di più antico e celebre si conserva nella Cappella è l’immagine del Santissimo Salvatore. Dipinta su legno, essa rappresenta Cristo seduto in trono con la mano destra benedicente e con il rotolo del Vangelo nella sinistra. L’origine è del tutto ignora ma sappiamo che già nel secolo VIII era molto venerata, tanto che Papa Stefano II, per scongiurare il pericolo dell’invasione dei Longobardi, la portò in processione sulle proprie spalle.
L’immagine subì ritocchi e restauri nel corso dei secoli. Il volto del Salvatore che oggi vediamo non è però l’originale: è riprodotto sopra un tessuto di seta applicato all’originale durante il secondo restauro. Innocenzo III fece rivestire il dipinto (eccetto la testa) con una lastra istoriata d’argento dorato.
Non c’è però solo l’antica icona nella Cappella. Sotto l’altare papale, protetti da un’enorme gabbia di ferro, si aprono i due sportelli di bronzo (con bassorilievi e iscrizioni del secolo XIII), che coprono l’arca di cipresso fatta eseguire da Leone III e contenente il tesoro e le reliquie del Sancta Sanctorum. Non era stata più aperta dal 1521 quando, nel 1902, il P. F. Jubaru S. J. ottenne l’autorizzazione di esaminare il capo di Sant’Agnese, qui conservato.
Nel 1905 il P. H. Grisar, suo confratello, poté nuovamente aprirla ed esaminare la splendida raccolta dei reliquiari d’oro, d’argento, d’avorio e di legno pregiato: teche, croci, pissidi, tessuti, ricami, pergamene, miniature, smalti di valore incalcolabile. Insomma, un vero e proprio tesoro che però oggi è custodito nel Museo Sacro e Cristiano della Biblioteca Vaticana. Non tutto: diverse reliquie sono ancora conservate nel sacello. Per alcuni secoli qui si potevano venerare anche le teste degli apostoli Pietro e Paolo, portate poi da Urbano V nel ciborio che copre l’altare papale della basilica lateranense.
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